domenica 9 ottobre 2016

Corriere 9.10.16
Sculture e maschere
Oltre 250 opere con il rito del corpo
di Paolo Madeddu

In tempi recenti i Maya hanno avuto la nostra attenzione a proposito della loro visione del futuro, e per come tale visione avrebbe potuto coinvolgerci in modo consistente — se non drastico. Passato senza apparenti conseguenze il fatidico 21 dicembre 2012, è tornato il momento di conoscere qualcosa del popolo alle cui profezie si è dato tanto risalto, privilegiando invece i suoi canoni estetici. Ed è col titolo Maya. Il linguaggio della bellezza , che dall’8 ottobre 2016 fino al 5 marzo 2017 il Palazzo della Gran Guardia di Verona metterà in mostra oltre 250 opere tra sculture, stele monumentali, elementi architettonici, figure in terracotta, maschere in giada, strumenti musicali e frammenti di testi provenienti dai principali musei del Messico e da siti archeologici delle città dell’antico impero. L’esposizione, curata da Karina Romero Blanco, più che su quello archeologico si sofferma sul percorso «artistico» di questa civiltà, dal 2000 a.C. al 1542 d.C., quando già Alvarado e Cortés avevano dato inizio alla conquista spagnola che segnò la fine dei Maya. «La mostra — spiega Romero Blanco — nasce con l’intento di avvicinarsi ai Maya preispanici in modo diverso rispetto alla narrativa cronologica o alla tematica che ruota intorno agli aspetti che li distinguono come gruppo culturale. Qui, i tempi, gli stili e le funzioni si coniugano per offrire una visione dell’arte maya». Antonio Aimi, consulente scientifico della mostra, sottolinea che uno degli scopi è far capire che, ebbene sì, i Maya hanno avuto i loro Michelangelo e Caravaggio. «Sono stati individuati più di 500 scultori che firmavano le loro opere, c’erano dei maestri riconosciuti — spiega —. Diversi tra i più grandi artisti tra l’altro eccellevano in stili completamente diversi, li usavano a seconda dell’idea enfatizzata nell’opera». Alcuni di questi stili, al netto di caratteristiche originali legate al diverso tempo e luogo, presentano chiari elementi che addirittura richiamano l’astrattismo, il minimalismo, il cubismo. «Alcune pitture vascolari poi hanno connotazioni che paiono deliberatamente fumettistiche. Ci sono molte convergenze con quanto è stato realizzato nella nostra parte di mondo — conferma Aimi — e colpisce il fatto che queste modalità espressive coesistevano». La mostra è divisa in quattro sezioni tematiche, dedicate rispettivamente alla decorazione dei corpi, all’abbigliamento, al rapporto con gli animali, a quello con le divinità. La parte intitolata Il corpo come tela induce riflessioni e confronti immediati con le nostre abitudini quotidiane, per quello che rivela su acconciature per capelli e pitture su viso e corpo, la modifica dell’aspetto fisico per ragioni estetiche: cicatrici, tatuaggi, la scarificazione del viso, la decorazione dei denti, la modifica artificiale della forma della testa, la foratura per poter portare ornamenti applicati su orecchie, naso e labbra, addirittura lo strabismo intenzionale. Ne Il corpo rivestito , il discorso si sposta sul linguaggio dell’abbigliamento, dalla semplicità dei ceti più umili fino alla classe nobile con i tessuti coloratissimi, lavorati con tecniche complesse (come il broccato), arricchiti con pietre preziose e con i proverbiali piumaggi. La controparte animale indaga sul rapporto tra esseri umani e le creature intorno, nelle quali individuavano degli alter ego. L’attribuzione di poteri divini ad alcune di esse, dal giaguaro al serpente, la mette in stretto rapporto con la sezione de I corpi delle divinità , che presenta il ricco universo mistico di questa civiltà. L’elemento predominante in conclusione è certamente il corpo, che i Maya idealizzavano rivelando una concezione della vita e dell’universo che induce un confronto affascinante, più di qualsiasi profezia, con quella di noi occidentali del 2016.