Corriere 9.10.16
Luigi Bersani
«Io trattato come un rottame L’Italicum cambia? Chiacchiere»
Domani alla direzione pd dirà No al referendum: non voglio un governo del capo
intervista di Monica Guerzoni
PIACENZA
«È un anno che l’Italia mangia solo pane e riforme, ora basta». Pier
Luigi Bersani ha deciso. Con sofferenza pari solo alla preoccupazione
per il futuro del Paese l’ex segretario del Pd è rassegnato ad
ufficializzare il suo No al referendum, domani in direzione nazionale:
«Renzi proverà a stanarmi con una proposta sull’Italicum? Chiacchiere.
Lo riteneva ottimo e perfetto, tanto che lo approvò con la fiducia. E
ora non mi venga a dire che darà l’incarico a Zanda e Rosato di trovare
un sistema migliore. Non mi si può raccontare che gli asini volano.
Vediamo in direzione, ma io non mi aspetto nulla». Uno strappo che il
leader della minoranza considera inevitabile, non tanto per il merito di
una riforma votata anche dalla sinistra dem, quanto per le prospettive
politiche disegnate dal «combinato disposto» con l’Italicum. È un
Bersani deluso e turbato quello che alle 23 di venerdì era ancora lì a
ragionare e a sfogarsi nel gremito Auditorium Sant’Ilario, durante un
confronto con Giuliano Pisapia organizzato dall’associazione Alice: «Se
parlo fuori è perché nel Pd non si può. In un anno e mezzo non ho mai
avuto occasione di discutere di riforme nel partito. E dire che un po’
ci capisco».
Si sente messo da parte, come D’Alema?
«Anche
con me non sono andati per il sottile, sono stato trattato come un
rottame. Non ho ragioni per difendere D’Alema, ma deve esserci un limite
a questa cosa volgare del vecchio e nuovo, che riguarda le idee e i
protagonisti di una stagione. Nell’Ulivo c’erano anche idiosincrasie e
liti furibonde, ma perbacco c’era una cosa da tenere assieme e c’era il
rispetto, tanto che D’Alema propose Veltroni segretario e Prodi
presidente della Commissione europea».
Luca Lotti ha mancato di rispetto all’ex premier?
«Quando
questo Lotti dice a D’Alema che è accecato dall’odio per una
poltroncina va fuori dal seminato. C’è un limite, perché se sei dove sei
c’è sempre qualcuno che ti ci ha portato. Invece ora tutto quello che
c’è prima è da sputarci su... Così vai a sbattere».
Davvero non pensa alla scissione?
«Noi
abbiamo cercato di salvare il salvabile, ma a volte trattenersi è molto
difficile. E anche adesso dico quel che dico perché un pezzo del nostro
popolo non vada via, restando vittima di cattivi pensieri. Non puoi
sempre farti vedere con Marchionne e Polegato».
Non le basta che Renzi abbia spersonalizzato?
«Perché
riconoscesse l’errore c’è voluto Jim Messina, ma Jim Bettola glielo va
dicendo da mesi gratis — scherza Bersani parafrasando il nome del guru
americano con quello della sua cittadina di origine —. Tu che sei il
premier non puoi dire al mondo che il tuo Paese è davanti al giudizio di
Dio, sull’orlo di un abisso, perché così dai adito a tutte le
speculazioni. Perché alzi la posta sulla Costituzione? È un precedente
gravissimo. Abbassiamo i toni e rassicuriamo il mondo. È solo una cosa
italo-italiana».
Per i renziani lei non parla del merito perché ha già deciso di votare No.
«Riformiamo
il Titolo V? Bene. Meno navetta tra le due Camere? Ottimo. Ma non
stiamo cambiando il sistema, quindi voliamo basso, non carichiamo la
molla spaccando l’Italia e il centrosinistra».
Non è esagerato l’allarme sulla tenuta democratica?
«È
il tema prioritario, e la legge elettorale è la cartina di tornasole.
Aver impugnato la Costituzione quasi in direzione di un meccanismo
plebiscitario è consono a una semplificazione troppo drastica».
Però scusi, la riforma non cambia la forma di governo.
«Da
sola no, ma in combinazione con la legge elettorale la cambia
radicalmente. Si va verso il governo di un capo, che nomina
sostanzialmente un Parlamento che decide tutto, anche con il 25% dei
voti».
Se la riforma passa, potrà ridiscutere l’Italicum...
«Ci
credo poco. In tutta Europa si cercano sistemi in grado di
rappresentare quel magma che c’è, e noi ci inventiamo il governo del
capo? C’è da farsi il segno della croce. Nella legge elettorale bisogna
metterci dentro un po’ di proporzionale, invece che prendere tutta altra
strada per sapere alla sera del voto chi comanda».
Ha già la testa al congresso del Pd?
«Al
congresso sosterrò la tesi che non si può tenere assieme segretario e
premier. Vorrei che il Pd si accorgesse dei rischi, separasse le
funzioni e mettesse questo gesto a disposizione di un campo largo di
centrosinistra».
E Alfano, Verdini, il partito della nazione?
«Qualcuno
sta rompendo i ponti con la tradizione convinto di prendere i voti
della destra, ma non ci metto la firma su una prospettiva così. Se passa
il Sì, temo che Renzi prenda l’abbrivio e vada dritto con l’Italicum.
Ma non sono disposto a mettere in mano il sistema a quella roba
inquietante che sento venir su dal profondo del Paese».
Sente aria di elezioni e teme che il sistema finirà in mano a Grillo?
«A
turbarmi non è Grillo ma l’insorgenza di una nuova destra in
formazione, aggressiva, non liberale, protezionista, che, da Trump a
Orbán, cerca le sue fortune. Il ripiegamento della globalizzazione ha
portato un aumento bestiale delle disuguaglianze. La sinistra deve
trovare una nuova piattaforma di base di diritti del lavoro. La ricetta?
Welfare, fedeltà fiscale, basta bonus e voucher».
Lei e Pisapia sarete nella stessa alleanza alle prossime elezioni?
«C’è una urgenza estrema di organizzare un campo largo di centrosinistra».
Un tweet su Ignazio Marino assolto?
«Se il modo ancor l’offende, francamente non ha tutti i torti».