Corriere 8.10.16
Lo spettro dell’esercito europeo
Nel 1954 fallì il progetto voluto da De Gasperi. L’amarezza del leader nella sua ultima lettera
di Sergio Romano
Chi
pensa che l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue sia una occasione da
cogliere, piuttosto che una sventura, osserva con piacere che fra i
grandi temi dell’Agenda europea è apparso nuovamente quello della Unione
militare. Due ministri del governo Renzi — Paolo Gentiloni agli Esteri e
Roberta Pinotti alla Difesa — hanno annunciato la presentazione di un
progetto italiano per la creazione di una forza multinazionale soggetta a
un comando comune e finanziata con denaro europeo.
A Bratislava,
dove il 27 settembre scorso si sono riuniti i ministri della Difesa
europei, Federica Mogherini, alto rappresentante per la politica estera
dell’Ue, ne ha parlato con prudenza: «Questo non significa creare un
esercito europeo ma avere più cooperazione per una difesa più efficace
in piena complementarità con la Nato». Dopo il discorso sullo stato
dell’Unione, pronunciato da Jean-Claude Juncker il 14 settembre al
Parlamento di Strasburgo, sappiamo tuttavia che il tema della sicurezza
preoccupa anche il presidente della Commissione. Vi sarà presto,
nell’ambito di Frontex, una comune polizia di frontiera dislocata lungo i
confini esterni dei Paesi di Schengen.
Perché il progetto
unitario non dovrebbe essere esteso alle forze armate dei Paesi che
hanno gli stessi interessi e gli stessi nemici? Qualcuno sosterrà
maliziosamente che questo è un déjà vu , la ripetizione di una vecchia
vicenda terminata più di sessant’ anni fa con un traumatico insuccesso.
Proviamo, per rinfrescare la nostra memoria, a ripercorrerne le tappe.
La
storia comincia quando gli Stati Uniti, all’inizio degli anni
Cinquanta, giungono alla conclusione che l’Europa non potrà fare fronte
alla minaccia sovietica se non verrà consentito alla Germania di avere
nuovamente un esercito. Per molti cittadini europei, che non hanno
ancora dimenticato le responsabilità tedesche di un passato recente, la
proposta è semplicemente scandalosa. Ma la Francia, con una mossa
geniale, risolve il problema gettando sul tavolo la proposta per la
creazione di una Comunità europea di Difesa, di cui la Germania sarebbe
stata membro insieme agli altri cinque Paesi della Ceca, Comunità
europea del carbone e dell’acciaio (Belgio, Francia, Italia, Lussemburgo
e Paesi Bassi). Non vi saranno più eserciti nazionali; vi sarà ormai,
dopo le feroci guerre civili dei secoli precedenti, un esercito europeo.
Nei
mesi seguenti si negozia un trattato che sarà firmato il 27 maggio 1952
e viene deciso che l’Assemblea parlamentare della Ceca avrà il compito
di scrivere la costituzione dell’Europa. È un’idea di Alcide De Gasperi
che di quell’Assemblea divenne presidente l’11 maggio 1954.
Ma la
macchina dell’Europa, di lì a poco, cominciò a incepparsi. De Gasperi,
contestato dai giovani turchi della Democrazia cristiana, dovette
rinunciare alla presidenza del Consiglio. Quattro Paesi ratificarono il
trattato, ma Francia e Italia tergiversavano: la prima perché era
distratta dalle sue crisi coloniali in Asia e nel Mediterraneo, la
seconda perché il suo governo sperava di mercanteggiare la ratifica
contro la soluzione del problema di Trieste. Da Borgo di Valsugana, De
Gasperi, stanco e malato, seguiva gli avvenimenti con apprensione. Il 14
agosto 1954, quando capì che il capo del governo francese, Pierre
Mendès-France, avrebbe sacrificato la Comunità europea di Difesa per
compiacere i comunisti e i gollisti, scrisse una lunga lettera ad
Amintore Fanfani che era divenuto nel frattempo segretario del partito.
Gli disse appassionatamente che occorreva contrastare la strategia di
Mendès-France e che l’Italia sarebbe stata il Paese maggiormente
danneggiato dal progressivo ritorno sulla scena degli eserciti
nazionali.
Conoscevamo la lettera, ma non conoscevamo quella,
manoscritta e ancora più allarmata, che De Gasperi scrisse il giorno
dopo a Mariano Rumor, vicesegretario del partito. È emersa negli scorsi
giorni dagli archivi della Fondazione che ha ereditato le carte
dell’uomo di Stato vicentino e fu probabilmente la sua ultima lettera.
De Gasperi morì quattro giorni dopo, il 19 agosto, undici giorni prima
del voto con cui l’Assemblea nazionale francese avrebbe rifiutato di
ratificare il trattato della Comunità europea di Difesa.
La Ced è
morta, ma l’esercito europeo è un fantasma inquieto che continua ad
aggirarsi nei corridoi dell’ Unione. È riapparso per esempio quando il
presidente francese Jacques Chirac e il premier britannico Tony Blair si
sono incontrati a Saint-Malo il 3 e il 4 dicembre 1998 per firmare una
dichiarazione in cui si dice tra l’altro che l’Ue «deve essere in grado
di svolgere un ruolo internazionale grazie a forze armate capaci di fare
fronte ai nuovi rischi appoggiandosi su una competitiva base
industriale e tecnologica di difesa».
Peccato che l’ipotesi di uno
stato maggiore comune, quando fu avanzata, sia stata pesantemente
scoraggiata dagli Stati Uniti e in ultima analisi persino dalla Gran
Bretagna che ancora una volta, costretta a scegliere fra l’Europa e gli
Stati Uniti, scelse il «gran largo». Brexit quindi è la prima delle
ragioni per cui è possibile parlare oggi nuovamente di difesa europea
senza correre il rischio di un veto di Londra. La seconda ragione è
quella che riempie da qualche anno le nostre cronache internazionali. Se
il Mediterraneo è in fiamme e la guerra si è pericolosamente avvicinata
ai nostri confini, Frontex non basta e gli Stati Uniti, chiunque li
governi, non sono più una garanzia. Chi ha interesse a difendere
l’Europa se non gli europei?