sabato 8 ottobre 2016

Corriere 8.10.16
Tramite l’ironia smascherò la natura umana
di Roberta Scorranese

Ogni tanto, nell’ Orlando Furioso , Ludovico Ariosto si inserisce con incisi ironici, quasi volesse ammiccare al lettore, un po’ come fa Frank Underwood in House Of Cards quando guarda nella macchina da presa, sornione: e infatti, sia nella serie tv che nel poema cavalleresco, le vicende narrate sono talmente inverosimili che l’autore sente il bisogno di sdrammatizzare con frasi come «Forse era ver, ma non però credibile». Questa ironia ariostesca, se da una parte è il motore della mostra ferrarese («Come poteva un letterato del ‘500 immaginare un guerriero dell’VIII secolo?», si sono chiesti i curatori dando il via alla ricerca storica e artistica), dall’altra è il tratto distintivo dell’ultimo grande umanista. Perché? Perché, anche grazie alla sua posizione di primissimo piano nella corte estense, incaricato di missioni diplomatiche e di compiti amministrativi, sempre a contatto con cardinali, nobili e diplomatici, comprese che la natura umana è troppo sfuggente per essere incasellata in un rigido genere narrativo. La natura non va semplicemente registrata dal vero, ma mediata attraverso la finzione, come osserverà in seguito Voltaire studiando il poeta italiano. Ironia, dunque, in senso letterale, dal greco eironeia , cioè dissimulazione. Che contempla anche l’errore. Ecco perché i personaggi ariosteschi errano , nell’uno e nell’altro senso del verbo. Come le figure imperfette di Piero di Cosimo, tra le cose più belle in mostra.