sabato 8 ottobre 2016

Corriere 8.10.16
I miei sette giorni schiava di Facebook
di Chiara Severgnini

Ho fatto tutto quello che Facebook mi ha detto di fare. Per una settimana. Ho condiviso una foto ogni volta che mi ha suggerito di farlo e ho scritto un nuovo status quando mi ha chiesto: «A cosa stai pensando?». Ho inviato richieste di amicizia a tutte le persone che, secondo il social, potrei conoscere. Ho accettato tutti gli inviti agli eventi. Ho fatto auguri di compleanno, mandato messaggi e persino impostato una foto del profilo a tema sportivo.Tutto perché Facebook me lo ha suggerito. E io ho deciso di seguire l’algoritmo passo passo per vedere dove mi avrebbe portato. A esperimento finito, la situazione è questa: agenda piena, profilo irriconoscibile e un po’ di domande senza risposta. Ad esempio: perché Facebook ha iniziato a bombardarmi di contenuti a tema matrimonio?
In sette giorni ho aggiornato il mio profilo 18 volte, quasi il quadruplo di quanto sono solita fare. Gli stimoli a postare non mancavano mai. Da sempre l’inafferrabile algoritmo di Facebook consiglia persone a cui chiedere l’amicizia e pagine a cui mettere « Mi piace » sulla base della città di residenza, degli intrecci di conoscenze virtuali e di chissà quali altri parametri. Ma da un anno a questa parte si è fatto più invadente. Ora il social suggerisce anche di ricondividere contenuti del passato o di celebrare la giornata della pace con un post ad hoc. Qualcuno dice che abbia iniziato a farlo perché gli utenti non pubblicano più quanto un tempo. L’arrivo di nuovi social ci ha distratto e intanto su Facebook sono sbarcati in massa lontani parenti, colleghi antipatici e potenziali datori di lavoro. Così noi, che nel frattempo siamo diventati più smaliziati, abbiamo iniziato a darci un contegno e forse anche ad annoiarci un po’. Per il ceo Mark Zuckerberg è un incubo: a cosa servono 1 miliardo e 700 milioni di iscritti se non sfornano contenuti, cioè se non forniscono dati da dare in pasto agli inserzionisti? La soluzione è invitarli a farlo. Con me l’ha fatto in media 2,57 volte al giorno.
Durante l’esperimento ho stretto 28 nuove amicizie virtuali e messo « mi piace » a una decina di pagine, il tutto senza interrompere la mia normale attività social. Il risultato è stato un’invasione di notifiche: circa 50 al giorno contro le 20 solite. La mole di informazioni che ho dato a Facebook è aumentata, ma si è anche fatta più confusa. L’algoritmo ha masticato tutto e quello che ne è uscito è un ritratto deformato, ma a tratti autentico, della mia persona.
Dagli eventi che mi propinava ho dedotto che Facebook sa dove vivo (anche se non gliel’ho mai detto) e grazie ai suoi consigli ho scovato contenuti interessanti. Ma il social ha anche preso qualche granchio, come quando ha deciso che mi interessano gli abiti da sposa. Non so se a indurlo in errore sia stata la mia età o la voce « Impegnata in una relazione » del mio profilo, quel che so è che nell’homepage sono comparsi wedding planner e fiere di settore.
Ho messo « mi piace » a tutto, ma senza convinzione: Facebook stava iniziando a diventare strano. Questo succedeva a metà del mio esperimento. Il peggio doveva ancora venire. Al giorno sei ero a corto di materiale. Dopo aver pubblicato un ritratto del mio cane, uno screenshot simpatico e un’immagine del libro che sto leggendo, ero diventata paranoica: se Facebook mi avesse chiesto di condividere un’altra foto sarei stata costretta a improvvisare. Nel frattempo il mio calendario, sincronizzato con il social, era ormai un inferno di eventi a cui avevo detto di voler partecipare, ma a cui non volevo partecipare affatto. Dicendo sì a tutto, avevo eliminato il filtro dei miei gusti e dopo sette giorni mi riconoscevo molto meno nella Chiara Severgnini di Facebook. Anche i miei amici - quelli che mantengono il titolo anche fuori dai social - non mi riconoscevano più. Alcuni hanno scritto commenti ironici sotto ai miei post più innaturali. Altri mi hanno chiesto come mai volessi partecipare a una maratona, proprio io che mi vanto di non correre dal 2008. La risposta è stata: « Non voglio, ma Facebook pensa di sì ». Poi, per fortuna, i sette giorni sono scaduti. Ora posso smettere di mandare richieste di amicizia in modo indiscriminato e presto Facebook capirà - o si ricorderà? - che non mi interessano né gli abiti da sposa, né gli eventi sportivi, né i corsi di ballo. La prossima volta che capiterò sull’homepage e lui mi chiederà a cosa sto pensando , però, mi piacerebbe rispondergli: non te lo dico.