Corriere 5.10.16
«L’Italicum porta al governo del capo»
De Mita: «Bisogna tornare alla proporzionale di De Gasperi per garantire il pluralismo
Al referendum voterò contro»
intervista di Marco Demarco
«Le
norme hanno un’anima, tanto più le Costituzioni», dice Ciriaco De Mita
che è stato segretario dc, presidente del Consiglio e presidente della
seconda bicamerale per la riforma istituzionale. «Vuol dire — spiega —
che le norme vanno calate in una realtà mutevole e complessa, e ciò
presuppone intelligenza politica, non rigidità di pensiero».
È la ragione per cui voterà No al referendum di dicembre?
«È
una delle ragioni. Tuttavia, io sono per le riforme e per questo ho
invitato chi ancora indulge nelle semplificazioni a riflettere, a creare
le condizioni per venirne fuori».
Non ci spera più?
«Se si
metteva da parte l’Italicum e ci si impegnava a correggere la riforma
costituzionale forse avrebbe avuto un senso votare Sì».
Invece?
«Mi
pare di capire che l’Italicum resta lì dov’è: per Renzi continua a
essere un’ottima legge; mentre sulla Costituzione sento solo il vociare
delle tifoserie. Se poi qualcuno prova a elaborare un pensiero, come
Zagrebelsky in tv, ecco che subito viene spinto nell’angolo di un
presunto conservatorismo».
Cosa c’è che non va nell’Italicum?
«Ci
porta alla fine della democrazia parlamentare. Con l’Italicum eleggiamo
il capo, non il presidente del Consiglio. La sera stessa del voto
sapremo chi ha vinto, ma non chi ha la legittimazione del consenso
popolare. Il premio di maggioranza altera la rappresentanza. Apre le
porte a un governo personale. Crea un’illusione tecnicista. E chi
governerà in queste condizioni poi cercherà il consenso mancante, non la
soluzione dei problemi. Si veda quello che è successo a Napoli con de
Magistris: eletto al ballottaggio con 278 mila voti su 788 mila».
I riformatori dicono che i poteri del presidente del Consiglio non cambiano. E che il Parlamento riacquisterà centralità.
«Il
Parlamento dei nominati? Non so davvero come Napolitano possa pensarlo.
In realtà, poi, noi cambiamo i poteri del premier senza toccare la
norma costituzionale ma agendo su quella elettorale. Il che è peggio,
perché sarebbe stato preferibile affrontare di petto il problema
approntando i relativi contrappesi parlamentari».
L’alternativa sarebbe tornare alle coalizioni?
«Si
dice che condizionino il governo. Ma con De Gasperi non fu così. A quel
tempo erano gli obiettivi programmatici a tenere coeso il pluralismo. E
l’Italia divenne la quinta potenza economica del mondo. Oggi il
problema è lo stesso: occorre recuperare la pluralità politica e
culturale di questo Paese».
Come?
«Con una nuova legge
proporzionale che a mio avviso sarebbe più funzionale. Poi mettendo
insieme, da una parte, quelli che non intendono sacrificare la
democrazia parlamentare, elemento essenziale della nostra tradizione
politica, e dall’altra chi — legittimamente — intende invece anteporre i
desideri alle soluzioni».
Salva anche il bicameralismo?
«Giusto
riformarlo, ma se la motivazione deve essere che tagliando le poltrone
si risparmia, allora si abbia il coraggio di essere populisti fino in
fondo. A questo punto, tagliamo tutto! Sono invece convinto che così
come è stato disegnato, il nuovo Senato complicherà e non semplificherà
il processo legislativo. C’era il bicameralismo e la riforma agraria fu
elaborata in due mesi. Ora stento a indicare una riforma memorabile
fatta in questi ultimi due anni. In futuro potrebbe essere ancora
peggio».
Presidente, correva l’anno 1993, perché fallì la sua bicamerale?
«È
un discorso lungo. Ma ricordo che a un certo punto, quando eravamo al
nodo giudiziario, arrivò un telegramma dalla Procura di Milano: era una
diffida a proseguire».