giovedì 6 ottobre 2016

Corriere 5.10.16
«L’Italicum porta al governo del capo»
De Mita: «Bisogna tornare alla proporzionale di De Gasperi per garantire il pluralismo
Al referendum voterò contro»
intervista di Marco Demarco

«Le norme hanno un’anima, tanto più le Costituzioni», dice Ciriaco De Mita che è stato segretario dc, presidente del Consiglio e presidente della seconda bicamerale per la riforma istituzionale. «Vuol dire — spiega — che le norme vanno calate in una realtà mutevole e complessa, e ciò presuppone intelligenza politica, non rigidità di pensiero».
È la ragione per cui voterà No al referendum di dicembre?
«È una delle ragioni. Tuttavia, io sono per le riforme e per questo ho invitato chi ancora indulge nelle semplificazioni a riflettere, a creare le condizioni per venirne fuori».
Non ci spera più?
«Se si metteva da parte l’Italicum e ci si impegnava a correggere la riforma costituzionale forse avrebbe avuto un senso votare Sì».
Invece?
«Mi pare di capire che l’Italicum resta lì dov’è: per Renzi continua a essere un’ottima legge; mentre sulla Costituzione sento solo il vociare delle tifoserie. Se poi qualcuno prova a elaborare un pensiero, come Zagrebelsky in tv, ecco che subito viene spinto nell’angolo di un presunto conservatorismo».
Cosa c’è che non va nell’Italicum?
«Ci porta alla fine della democrazia parlamentare. Con l’Italicum eleggiamo il capo, non il presidente del Consiglio. La sera stessa del voto sapremo chi ha vinto, ma non chi ha la legittimazione del consenso popolare. Il premio di maggioranza altera la rappresentanza. Apre le porte a un governo personale. Crea un’illusione tecnicista. E chi governerà in queste condizioni poi cercherà il consenso mancante, non la soluzione dei problemi. Si veda quello che è successo a Napoli con de Magistris: eletto al ballottaggio con 278 mila voti su 788 mila».
I riformatori dicono che i poteri del presidente del Consiglio non cambiano. E che il Parlamento riacquisterà centralità.
«Il Parlamento dei nominati? Non so davvero come Napolitano possa pensarlo. In realtà, poi, noi cambiamo i poteri del premier senza toccare la norma costituzionale ma agendo su quella elettorale. Il che è peggio, perché sarebbe stato preferibile affrontare di petto il problema approntando i relativi contrappesi parlamentari».
L’alternativa sarebbe tornare alle coalizioni?
«Si dice che condizionino il governo. Ma con De Gasperi non fu così. A quel tempo erano gli obiettivi programmatici a tenere coeso il pluralismo. E l’Italia divenne la quinta potenza economica del mondo. Oggi il problema è lo stesso: occorre recuperare la pluralità politica e culturale di questo Paese».
Come?
«Con una nuova legge proporzionale che a mio avviso sarebbe più funzionale. Poi mettendo insieme, da una parte, quelli che non intendono sacrificare la democrazia parlamentare, elemento essenziale della nostra tradizione politica, e dall’altra chi — legittimamente — intende invece anteporre i desideri alle soluzioni».
Salva anche il bicameralismo?
«Giusto riformarlo, ma se la motivazione deve essere che tagliando le poltrone si risparmia, allora si abbia il coraggio di essere populisti fino in fondo. A questo punto, tagliamo tutto! Sono invece convinto che così come è stato disegnato, il nuovo Senato complicherà e non semplificherà il processo legislativo. C’era il bicameralismo e la riforma agraria fu elaborata in due mesi. Ora stento a indicare una riforma memorabile fatta in questi ultimi due anni. In futuro potrebbe essere ancora peggio».
Presidente, correva l’anno 1993, perché fallì la sua bicamerale?
«È un discorso lungo. Ma ricordo che a un certo punto, quando eravamo al nodo giudiziario, arrivò un telegramma dalla Procura di Milano: era una diffida a proseguire».