mercoledì 5 ottobre 2016

Corriere 5.10.16
«Il voto? Una roulette russa»
di Federico Fubini

Il consiglio di Niall Ferguson, storico e saggista britannico, ai governi che vogliono presentare ai loro elettori un referendum: «Non fatelo».
N iall Ferguson, lo storico di Stanford e il commentatore, l’amico dell’ex premier di Londra David Cameron, ha un consiglio per i governi che presentano ai loro elettori un referendum: «Non fatelo». A suo avviso sarebbe da evitare, a maggior ragione in un Paese economicamente vulnerabile e finanziariamente fragile come l’Italia.
Come viene visto il referendum sulla Costituzione in una prospettiva internazionale?
«Per il mondo esterno è sempre forte la tentazione di vedere tutti i referendum europei come bombe che fanno saltare i governi. E non solo questi, anche l’Europa. Pensiamo alla Grecia, o a Brexit, quindi guardiamo al referendum italiano e ci diciamo: eccone un altro. Se sei fuori dal Paese non guardi alle avvertenze scritte in piccolo, non guardi alla formulazione della domanda referendaria o alla questione in sé. Perché in qualche modo tutti i referendum sono semplici domande al pubblico: quale parola vi piace di più, sì o no? Oppure: il governo fa pena sì o no?».
Ma è il modo giusto?
«No, è un malinteso. C’è una differenza profonda fra il referendum su Brexit e quello italiano. Il primo poneva una domanda fondamentale su un’intera epoca di politica estera britannica e rappresenta il trionfo delle questioni sociali o culturali sull’economia. Penso invece che ciò che sta accadendo in Italia sia di minore importanza storica: la riforma costituzionale è una precondizione per le riforme economiche di cui l’Italia ha bisogno. Sostengo Matteo Renzi dall’inizio e ho sempre pensato che debba mettere a posto la politica, prima di mettere a posto l’economia. Sul Sì uno non dovrebbe avere dubbi. Il problema è che questo è un referendum. Dunque, anziché un voto sul merito, diventa un canale per esprimere la protesta».
Cosa non piace dei referendum?
«Sono un modo straordinariamente inefficiente di prendere decisioni. Invece ci troviamo qui, alla stretta finale della roulette russa dei referendum. La differenza con la roulette russa è che nel caricatore di una pistola ci sono cinque camere vuote e solo una con il proiettile. In un referendum ce n’è una vuota e una no. Eppure sembra che ogni politico in Europa voglia prendere l’arma, puntarsela alla testa e dire: me la gioco. Spero che questa tendenza finisca, davvero. Perché ogni volta la stabilità dell’Europa è in gioco».
Non pensa sia un modo dei politici per scaricare la responsabilità delle decisioni?
«Questa è l’origine del plebiscito come strumento democratico. Ma Dio sa se l’esperienza degli anni 20 e 30 avrebbe dovuto insegnarci che questo strumento può diventare una sconsiderata roulette russa, quando uomini politici eletti delegano le decisioni difficili. Spero che si chiuda l’era dei referendum e si accetti l’idea che la democrazia non deve essere diretta. È la ragione per cui i padri fondatori degli Stati Uniti hanno voluto un’intermediazione fra gli elettori e il processo decisionale».
Come leggerebbe il resto del mondo una vittoria del No in Italia?
«Sarebbe molto, molto miope se gli italiani votassero No. Il Paese è in una situazione molto precaria. La sua performance economica è scadente, il sistema bancario è straordinariamente fragile malgrado la sua enorme importanza per l’economia. Gli italiani si devono ricordare che un No sarà interpretato dal mondo esterno come una versione del voto greco. Un modo di dire: al diavolo le riforme. Sarebbe estremamente pericoloso perché la fiducia verso l’Italia all’estero potrebbe affondare molto, molto precipitosamente. Non credo che molti afferrino la possibilità che Renzi perda, o che molti negli Stati Uniti capiscono che ciò significa che probabilmente a quel punto si dimetterebbe. Gli italiani dovrebbero ricordarsi che quel proiettile nella pistola della roulette russa non colpisce solo il premier. Colpisce anche l’economia italiana e l’intero Paese».
Sulla base dell’esperienza britannica, ha consigli sul da farsi e il da non farsi per i governi che puntano il loro futuro su un referendum?
«Non fatelo. Penso davvero che George Osborne, l’ex cancelliere dello Scacchiere, avesse ragione. Il referendum nel Regno Unito è stato un errore. Ha aiutato Cameron a vincere le elezioni del 2015, poi dodici mesi dopo il governo stava puntando un’arma alla propria testa. Ma se sei vincolato dalle procedure, come in Italia, allora devi essere pronto a discutere su più di un terreno di confronto. La campagna di Cameron è stata eccessivamente focalizzata sull’economia e non ha riconosciuto che le persone sono mosse anche da considerazioni non economiche. È molto importante che Renzi esprima la propria posizione in termini ampi. Questo è un referendum sul futuro dell’Italia, non solo sull’economia o sulle istituzioni politiche. È su come l’Italia si prepara a evolvere e come supera i suoi evidenti problemi».