Corriere 5.10.16
Un incrocio pericoloso tra l’economia e il 4 dicembre
di Massimo Franco
I
bersagli dello scontro sul referendum istituzionale cambiano quasi
quotidianamente. Da qualche giorno, tuttavia, la sensazione è che
l’offensiva del No sia destinata a spostarsi sulla politica economica.
Ieri è toccato al ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, essere
attaccato: come se fosse diventato il parafulmine delle critiche a
Matteo Renzi; è un bersaglio facile in quanto sostenitore del Sì e
titolare di un dicastero strategico. A colpire non sono stati soltanto i
rilievi di Bankitalia, Corte dei conti e Ufficio parlamentare di
bilancio sull’eccessivo ottimismo in tema di ripresa.
Sono stati
anche i toni. In modo casuale ma corale, istituto di emissione,
magistratura contabile e Camera sono arrivati alle stesse conclusioni
sul Def del governo, bocciando le previsioni dell’1 per cento di
crescita per il 2017. Nelle stesse ore, Padoan ha additato un’eventuale
vittoria dei No come foriera di un clima generale di sfiducia. Ma questo
ha accentuato la polemica. Le opposizioni parlano di conflitto
istituzionale, sebbene Renzi si dica sicuro delle previsioni. «Tra un
anno si vedrà chi ha ragione», afferma. Il problema, però, non sono i
decimali in eccesso o in difetto.
A preoccupare è l’intreccio tra
campagna referendaria e andamento dell’economia. I dati scoraggianti
sulla ripresa indeboliscono una campagna già difficile. E l’insistenza
di Palazzo Chigi sulle incognite che si aprirebbero in caso di
bocciatura delle riforme, dirotta sul governo l’accusa di creare un
allarme esagerato. Padoan ieri si è difeso spiegando che «se c’è un
timore che lega l’esito del referendum alla stabilità dei mercati, non è
qualcosa che ho messo in giro io: è qualcosa che gli investitori fanno
regolarmente da settimane».
Il ministro assicura che si sta
cercando di convincerli del contrario, «ma è molto difficile».
L’argomento è delicato e insieme cruciale. Da una parte, Renzi e i suoi
ministri non possono equiparare Sì e No: ne va della loro credibilità e
della loro strategia. Dall’altra, rischiano di apparire messaggeri di
sventure in caso di sconfitta. Si tratta di un equilibrio difficile da
trovare, che fa dire agli avversari: il governo asseconda il pessimismo
dei mercati per paura di perdere. E il M5S ne approfitta per sostenere
che Renzi «trucca le carte per non ammettere che il Paese è fermo»: tesi
scontata.
Il premier martella: il referendum è contro la
burocrazia, non contro la democrazia. Ma deve registrare la freddezza
che comincia ad affiorare oltre confine sul merito delle riforme. Il
Financial Times, di solito ben disposto verso di lui, ora scrive che «le
riforme di Renzi sono un ponte costituzionale che non porta da nessuna
parte». Per fortuna, il capo del governo non si scoraggia. «Io continuo a
divertirmi a fare questo mestiere», assicura. «Vedo che si divertono
anche altri ad attaccarmi, quindi ci divertiamo in tanti». Ed è
disponibile a sfidarli tutti in tv, ma «tenendosi il tempo per
governare».