Corriere 5.10.16
Camere chiuse per referendum
di Dino Martirano
ROMA
Il Parlamento, ormai, appare come un’auto che si avvia al rallentatore
sulla strada al termine della quale si intravede il referendum
costituzionale del 4 dicembre. Ora che mancano 60 giorni all’apertura
delle urne, in cui il governo Renzi potrebbe giocarsi la partita della
vita, Camera e Senato hanno «tirato il freno a mano» per evitare
pericolose sbandate, se non i testacoda, sul terreno sdrucciolevole dei
temi sensibili, degli argomenti particolarmente divisivi e di tutto ciò
che impegna fino all’ultimo i voti della maggioranza.
Non solo la
legge elettorale è ferma in attesa di capire se vincerà il Sì o il No.
Nella lista d’attesa del Senato ci sono la riforma penale (sono
direttamente interessati avvocati, magistrati, imprese, investitori
stranieri e, sostanzialmente, tutti i cittadini soggetti al codice
penale), la legge sulla concorrenza approvata in commissione il 2 agosto
scorso (ordini professionali, farmacisti, medici, notai, studi legali) e
quella sul conflitto di interessi che riguarda i burocrati grandi e
piccoli e gli stessi parlamentari. Ma a Palazzo Madama sono inchiodate
anche le norme sul nuovo Codice della strada (in commissione),
l’introduzione del nuovo reato di tortura (in aula dal 27 luglio), la
riforma del codice civile, le regole per il cyberbullismo, il reato di
diffamazione riveduto e corretto.
Alla Camera gli stop più
clamorosi riguardano due temi dirimenti. La liberalizzazione della
cannabis (approdata in aula a luglio ma ora pronta per essere rispedita
in commissione) e la legge sulle adozioni che in realtà si è molto
appesantita dal momento in cui la stepchild adoption (adozione del
figlio del partner) è stata stralciata dalle unioni civili. Ieri è stata
approvata la legge sull’editoria grazie anche all’impegno del relatore
Roberto Rampi (Pd) e in settimana passerà in prima lettura la
conversione del decreto che interviene sulla Cassazione (sull’età
pensionabile di 18 alti magistrati) ma di fatto, conferma Rocco Palese
(ex Forza Italia ora passato con Fitto), «siamo praticamente già in
sessione di bilancio...».
In altre parole, sussurrano autorevoli
voci della maggioranza, in attesa del referendum costituzionale «non
bisogna scontentare nessuno ma neanche accontentare qualcuno a scapito
di altri...». Più istituzionale la sintesi del sottosegretario ai
rapporti con il Parlamento, Luciano Pizzetti (Pd): «Certo, tutto
rallenta se si preannuncia la fine del mondo, o l’inizio di uno nuovo,
dopo il 4 dicembre».
Il governo, dunque, è messo a dura prova
dalla frenata impressa al Senato al disegno di legge di riforma della
giustizia penale licenziato il 23 settembre del 2015 dalla Camera grazie
al lavoro della commissione Giustizia presieduta da Donatella Ferranti
(Pd) e dal sostegno del Guardasigilli Andrea Orlando: in un anno, la
riforma ha superato il vaglio della commissione Giustizia del Senato ma
non quello dell’Aula di Palazzo Madama, dove è sbarcato un paio di
settimane fa. E ora, anche se Orlando ha ottenuto che il Consiglio dei
ministri deliberasse il ricorso alla fiducia (che per ora rimane nel
cassetto), la prospettiva del forte rallentamento non cambia. L’ordine
del giorno prevede che abbiano la precedenza il ddl sul cinema, il Def e
la commemorazione di Carlo Azeglio Ciampi. Con la prospettiva che i
primi, temutissimi voti (molti segreti) sul ddl penale vengano rinviati
di altre due settimane. A fine ottobre, poi, un capogruppo potrebbe
anche chiedere il voto per il rinvio in commissione (la maggioranza pur
di non sbandare sarebbe compatta) fino a intravedere la sessione di
bilancio che al Senato inizia tra il 23 e il 28 novembre. Giusto in
tempo per rimandare il tutto all’anno nuovo. «A meno che — chiosa David
Ermini (Pd) — ci rimandino subito il testo alla Camera e lo approviamo».