Corriere 5.10.16
Ma la Germania Est fa parte dell’Europa?
A
Dresda e nella regione orientale dilagano nazionalismo e xenofobia:
complici il calo demografico e la mancata rielaborazione del passato
di Danilo Taino
Non
fatevi ingannare dall’edificio con le cupole arrotondate e le torri
alte e strette, vicino alla sponda del fiume Elba, a Dresda. Non è una
moschea e non sono minareti quelli che si stagliano sul cielo nuvoloso.
Era una fabbrica di sigarette, Yenidze, che all’inizio del secolo scorso
un imprenditore ebreo fece costruire nella capitale cosmopolita della
Sassonia. Oriente e Islam facevano buona pubblicità. Oggi, l’edificio
segna il passare del tempo: Dresda appare molto meno aperta di una
volta; e l’idea della moschea è difficile da vendere. All’improvviso, la
città è diventata il cuore tedesco dell’opposizione agli immigrati.
Al
punto che c’è una domanda che nessuno pone esplicitamente ma è nella
mente di molti. Dresda, così come i cinque Stati che una volta erano
l’Est socialista del Paese, sono Germania? Com’è possibile che tra
l’Ovest, tutto sommato aperto e disponibile ad accettare i rifugiati, e
l’Est, dove il partito illiberale Alternative für Deutschland fa messe
di voti e gli attacchi ai profughi sono quotidiani, ci sia un nuovo
muro?
Lunedì scorso, 3 ottobre, era l’anniversario della
riunificazione tedesca del 1990. Dresda era la città scelta per tenere
la celebrazione maggiore. E’ finita sui giornali per una contestazione
ad Angela Merkel: cento militanti di estrema destra, su una
manifestazione di diecimila, duri e puri contro l’apertura della
cancelliera, un anno fa, a chi fuggiva dalla guerra in Siria.
Percentuale bassa. Contestazione però nata e legittimata nel clima che
si è creato nella città della Sassonia e nelle regioni che la
circondano.
E’ a Dresda che il movimento di destra, anch’esso
anti-immigrati, Pegida è nato e ha tenuto manifestazioni ogni lunedì
contro i musulmani. E’ nei cinque Länder un tempo Germania dell’Est
(Ddr) che si concentrano i maggiori attacchi xenofobi. E’ in uno di
questi Stati, il Meclemburgo-Cispomerania, che a inizio settembre
Alternative für Deutschland è arrivata seconda nelle elezioni del Land,
davanti alla Cdu di Frau Merkel. Ed è in un’altra regione dell’Est, il
Brandeburgo, che — dicono i sondaggi — succederebbe lo stesso se si
votasse oggi.
Sì, lo Stato è uno e la convergenza economica non è
fallita. Ciò nonostante, quando si viene al nazionalismo e all’approccio
con gli stranieri, soprattutto i musulmani, le Germanie sono due.
Quindici
giorni fa, il governo ha reso pubblica l’analisi sullo Stato dell’Unità
Tedesca. Nonostante che all’Est la quota di immigrati sia inferiore a
quella della parte occidentale del Paese, i servizi di sicurezza hanno
stabilito che nella Germania Ovest ci sono stati in media 10,5 casi di
attacchi xenofobi ogni milione di abitanti; nel Meclemburgo-Cispomerania
58,7; nel Brandeburgo 51,9, in Sassonia 49,6. E quote alte anche negli
altri due Land della ex Ddr, Turingia e Sassonia-Anhalt. Attacchi contro
profughi, centri di accoglienza dati alle fiamme, violenze contro i
politici vicini ai rifugiati.
Non è che, dal punto di vista
sociale ed economico, le due parti del Paese non convergano. Differenze
rimangono. Ma il Pil per persona era di 21 mila euro (al tempo c’erano i
marchi) contro 9.500 nel 1991 ed è passato a 37 mila contro 27 mila nel
2014. La disoccupazione a Est ha avuto un picco al 20% nel 2005 e oggi è
sotto al 10%. Le case con riscaldamento nel 1991 erano il 90% nella
Germania di Bonn e il 60% in quella di Berlino Est; oggi siamo 97 a 96.
Strade e infrastrutture sono state realizzate soprattutto nei nuovi
Länder.
Cosa c’è, dunque, alla base del maggiore nazionalismo
dell’Est? Naturalmente molte ragioni. Il calo della popolazione, per
dire: tra il 1989 e il 2013, cresciuta del 4% in Occidente, caduta del
14% a Oriente (di oltre il 20% in Sassonia-Anhalt). Molte città e
soprattutto le campagne hanno vissuto una vera e propria fuga:
soprattutto delle ragazze, che hanno lasciato i loro coetanei a
confrontarsi spesso con birra e gagliardetti nazisti.
Ma c’è anche
qualcosa di più strutturale. La filosofa ungherese Ágnes Heller ha
spiegato, durante una conferenza alla «Fondazione Corriere della Sera»,
che un motivo forte sta nel modo in cui il nazismo è stato narrato e
affrontato a Ovest e a Est nel dopoguerra. Dalla fine degli Anni
Settanta, la Germania occidentale ha condotto un’analisi profonda e
senza precedenti delle sue responsabilità, nelle scuole, nelle
istituzioni, nella società. Che in una certa misura l’ha immunizzata dal
nazionalismo. A Est, durante il socialismo reale, il Terzo Reich fu
solo spiegato come frutto dell’imperialismo, criticato «al più perché
uccideva i comunisti», ha detto Heller.
A Ovest, il 1968 aprì
l’età dell’autoanalisi impietosa. A Dresda, «lo spirito del ‘68» è in
gran parte vissuto come un tradimento della Germania. La convergenza,
qui, avrà tempi lunghi.
@danilotaino