lunedì 3 ottobre 2016

Corriere 3.10.16
Il vantaggio del No: al Sud avanti di 16 punti
Tra chi vota FI il 40% è per la riforma
Ma un elettore su due ancora non sa cosa farà
di Nando Pagnoncelli

La lunghissima campagna referendaria che ha preso avvio nel mese di gennaio, a due mesi dal voto, presenta una situazione di grande incertezza e continua a essere caratterizzata da un modesto livello di conoscenza della riforma votata dal Parlamento.
Solo un cittadino su 10, infatti, dichiara di conoscere nel dettaglio i contenuti della riforma costituzionale, il 44% la conosce a grandi linee, il 38% ne ha sentito vagamente parlare e l’8% non sa nemmeno che ci sarà un referendum.
Rispetto al sondaggio realizzato nel luglio scorso, gli italiani che ne sanno qualcosa aumentano solo di 3 punti (da 51% a 54%): è un dato sorprendente, tenuto conto che i mezzi di informazione ogni giorno ci parlano del referendum. Ma ne parlano prevalentemente riportando più il rumore di fondo (le polemiche e i conflitti tra i due schieramenti), mentre l’approfondimento del merito della riforma è merce rara, probabilmente perché risulta ostico agli elettori.
Quanto agli orientamenti di voto si registra una flessione di due punti del fronte del Sì (da 25% a 23%), la stabilità di quello del No (25%) e l’aumento sia degli indecisi (da 7% a 8%) che degli astenuti (da 42% a 44%). Per effetto di questi cambiamenti il No prevale sul Sì, ma la distanza non è significativa e si mantiene nell’ambito dell’errore statistico. Escludendo dal computo indecisi e astensionisti, oggi il No si attesta al 52% e il Sì al 48%.
È interessante osservare gli orientamenti nei differenti elettorati. Iniziamo dalla partecipazione alla consultazione: i più mobilitati appaiono gli elettori del Pd (tre su quattro dichiarano di volersi recare alle urne), mentre tra gli elettori di M5S, Lega, Forza Italia e i centristi circa due su tre intendono votare.
Gli elettori del Pd, inoltre, si mostrano più coesi di quanto si potesse immaginare, tenuto conto del duro scontro tra maggioranza e minoranza del partito: il Sì prevale largamente (81% a 19%). Anche tra gli elettori centristi il Sì è in testa, ma in misura meno netta (59% a 41%). Tra gli elettori dei partiti d’opposizione prevale il No ma è interessante osservare che circa uno su cinque tra i grillini (19%) e i leghisti (21%) e ben il 40% tra i sostenitori di Forza Italia voterebbe Sì. D’altronde, alcuni dei temi della riforma incontrano una sensibilità diffusa anche tra chi osteggia il governo.
L’orientamento di voto appare molto diversificato nelle diverse aree geografiche del Paese: nelle regioni del Nord ovest e in quelle del Centro Nord prevale il Sì, nel Nordest prevale di poco il No mentre nelle regioni del Centro Sud e nelle Isole il No ha un vantaggio piuttosto ampio.
Quando si entra nel merito della riforma, enunciando i sette principali punti in cui si sostanzia, il grado di accordo per ciascun aspetto considerato prevale sempre sul disaccordo, talora in misura molto netta come nel caso della riduzione dei senatori (62% i favorevoli, 20% i contrari), della fine del bicameralismo paritario (51% contro 24%), la soppressione del Cnel (49% contro 18%). Il vantaggio è più contenuto solo nel caso delle modalità di elezione del Senato: 39% i favorevoli alla scelta contestuale al voto regionale, 31% i contrari che preferirebbero poter scegliere con un voto di preferenza.
L’accordo medio espresso per i sette punti della riforma è pari al 48% ma quando, successivamente, agli stessi intervistati si chiede di esprimere il favore per la riforma nel complesso, il consenso è più basso: il 42% si dichiara molto o abbastanza d’accordo, perché la personalizzazione e l’orientamento politico prevalgono sul merito delle questioni. D’altra parte, come già evidenziato, per il 53% degli interpellati gli italiani voteranno pensando di approvare o bocciare il governi Renzi.
Il premier sta riducendo la personalizzazione del referendum. Sembra una scelta saggia. In uno scenario tripolare, infatti, la personalizzazione può risultare una strategia ad alto rischio perché i due elettorati antagonisti sono indotti ad allearsi contro il premier, indipendentemente dal merito del referendum, per «dare una spallata» al governo.
Mancano nove settimane al voto e la partita è davvero aperta: la distanza tra No e Sì è minima e gli indecisi saranno determinanti. Tra questi ultimi la metà circa (47%) pur dichiarando di voler andare a votare non sa esprimere un parere sulla riforma, il 32% si dichiara favorevole e il 21% contrario.
In questo scenario è auspicabile che il confronto, spesso influenzato dagli allarmi evocati — da una parte, nel caso di affermazione del No, le catastrofiche conseguenze sul piano economico-finanziario, politico e sociale; dall’altra, se vincesse il Sì, la concentrazione dei poteri, l’attentato alla democrazia e alla libertà dei cittadini — e dal tifo da stadio, si trasformi in una sana dialettica sui contenuti effettivi. Il dibattito televisivo su La7 tra il premier Renzi e il professor Zagrebelsky va in questa direzione: è stato un contraddittorio utile e molto civile che ha consentito agli ascoltatori di approfondire le ragioni a favore e contro la riforma.
E un confronto argomentato e pacato potrebbe favorire una maggiore mobilitazione dei cittadini, oggi ferma al 56%. È un dato che fa riflettere perché si tratta di un referendum sulla Costituzione, e la Costituzione è di tutti, indipendentemente dalle opinioni sulla riforma.