Corriere 3.10.16
Ancora i test di verginità
L’Egitto è ossessionato dal corpo delle donne
di Viviana Mazza
Scriveva
negli anni 70 la femminista egiziana Nawal Al Saadawi: «Se una ragazza
araba perde un occhio, la sua famiglia non piange tanto quanto
piangerebbe se perdesse la verginità». Nell’Egitto di oggi c’è chi la
pensa ancora così, ma ci sono anche donne che non lo accettano. Il
parlamentare Ilhami Agena ha suggerito l’introduzione di «test della
verginità» come pre-requisito per le ragazze all’università: «Dobbiamo
controllare gli esami medici di ciascuna, per dimostrare che è una
signorina». Così sostiene di poter prevenire i matrimoni informali
(gawaz orfy), scelti da molti giovani che vogliono fare sesso prima
delle nozze ma non possono in una società conservatrice né hanno il
denaro per sposarsi. Contro il deputato si sono levate proteste sui
social e una denuncia è stata depositata in procura dal Consiglio
nazionale per le Donne, per espellerlo dal Parlamento.
I test
della verginità sono una forma di violenza sessuale, in cui un medico
verifica manualmente che l’imene sia intatto. Sono stati imposti
dall’esercito alle attiviste egiziane dopo la rivoluzione del 2011. Il 9
marzo i soldati sgomberarono piazza Tahrir dai manifestanti tornati per
protestare contro le lentezze della giunta militare post-Mubarak: 17
donne furono picchiate sottoposto a test di verginità. L’attuale
presidente Al Sisi, che si è presentato come l’uomo che ha salvato
l’Egitto dalla regressione della Fratellanza Musulmana, era d’accordo
con quei test, secondo attiviste come Mona Eltahawy. E oggi, il deputato
Agena, membro della Commissione per i diritti umani, difende anche la
pratica delle mutilazioni genitali, per «ridurre il desiderio sessuale»
femminile perché «il 64% degli uomini sono impotenti». Anziché
concentrarsi su disoccupazione e analfabetismo le autorità continuano ad
essere ossessionate dal corpo e dalla sessualità delle donne.