Corriere 31.10.16
Il signore degli ologrammi è italiano
«Con la luce costruisco oggetti»
di Paolo Ottolina
Riccardo Giraldi, 32 anni, creativo di Microsoft: ho realizzato la fantasia di «Star Wars»
Dici
«ologramma» e pensi ad astronavi e spade laser. Colpa di Guerre
stellari e Star Trek. Ma gli ologrammi sono tra noi e ci fanno varcare
la soglia che porta alla prossima era dell’informatica. Una delle menti
che prova a dar forma a questo mondo è italiana: Riccardo Giraldi,
pistoiese, ha 32 anni e da tre in Microsoft si occupa della parte
creativa che ha portato alla nascita di HoloLens. Un oggetto che sembra
una specie di maschera da sci. Invece è quello che l’azienda fondata da
Bill Gates definisce «il primo computer olografico».
Quello che
fa, grazie a una tecnologia molto avanzata, non c’entra con la realtà
virtuale. Quest’ultima isola l’utilizzatore dal mondo e lo trasporta in
un altrove simulato. L’idea di Microsoft è più vicina alla realtà
aumentata, quella del gioco-mania Pokemon Go e dei fallimentari Google
Glass. È però più complessa: HoloLens analizza l’ambiente in cui ci
troviamo e crea una «Mixed Reality», una realtà in cui delle figure
realizzate con la luce (ologrammi) interagiscono con le cose reali
(muri, mobili) intorno a noi. «Con questa tecnologia vogliamo tornare al
buon vecchio mondo tangibile — afferma Giraldi —. Quando devo spiegare
cos’è la mixed reality dico: “Ci sono oggetti, ma fatti di luce”. Se
parlo di oggetti anche mia nonna rientra in gioco».
Abbiamo
provato il modello che Microsoft manda agli sviluppatori (costa 3.300
euro e non è ancora disponibile in Italia) nella sede milanese della
multinazionale Avanade. Entriamo in una stanza con una cucina (vera) e
HoloLens crea un tavolo e quattro sedie, poi aggiunge piante e altri
accessori (tutti ologrammi). Le immagini digitali non sono visibili a
tutti, come in Star Wars, ma solo a chi indossa il visore, che le genera
attraverso un complesso gioco di luce che «rimbalza» tra le lenti.
Giraldi,
che ha studiato Visual Design ed è programmatore autodidatta, si è
occupato della cosiddetta user experience : «Design non significa solo
“fare disegnini”, anche perché non sono neppure troppo bravo — si
schermisce —. È un processo completo: ogni pixel contribuisce
all’esperienza dell’utilizzatore. Nel digitale attuale tutto è confinato
a uno schermo. Ma ora le possibilità sono molto più ampie. Con HoloLens
rimettiamo in gioco capacità dell’essere umano. Come capire le
distanze, le dimensioni, la spazialità».
Far funzionare un
computer da indossare non è stato facile. Lo strumento Microsoft si
controlla con la voce (attraverso l’assistente Cortana) e con i gesti
delle mani, che le videocamere del visore vedono e interpretano. Uno dei
più frequenti è il bloom (ricorda vagamente un fiore che sboccia): «Per
i comandi abbiamo dovuto tener conto di tantissimi fattori. Anche della
gestualità tipica di noi italiani, ad esempio» spiega Riccardo. A che
cosa servirà HoloLens? È già usato in laboratori e ambiti industriali.
La Nasa lo sfrutta per le missioni su Marte. ThyssenKrupp per la
riparazione di ascensori, in cui un operatore è assistito a distanza e
gli ologrammi mostrano con evidenza le parti meccaniche su cui
intervenire. Japan Airlines per addestrare tecnici. Un’università
americana in ambito medico, per l’anatomia in 3D. Giraldi intanto è già
oltre. Il team di ricerca che guida a Seattle si occupa di immaginare il
futuro: «Definiamo e ragioniamo su nuove piattaforme ed esperienze.
Cerchiamo di capire quali sono i problemi base delle persone, proviamo e
riproviamo finché non troviamo qualcosa che risolve questa necessità. E
questo lavoro influenza i prossimi software e hardware». Sembra
complicato. E lo è. Ma lo sarebbe un po’ meno se foste, come Riccardo,
tipi che prima dei trent’anni sono riusciti a far correre macchinine con
la forza del pensiero.