Corriere 2.10.16
Non va in cella chi ruba due Van Gogh
di Gian Antonio Stella
E
se non ci fosse stata di mezzo la droga? Il «narco» Raffaele Imperiale
non avrebbe manco rischiato il mandato di cattura. Il furto o la
ricettazione di un paio di Van Gogh da 100 milioni di dollari, infatti,
non bastano per sbattere in galera un trafficante. Il governo lo sa. Il
Parlamento lo sa. I giudici lo sanno.
Eppure da anni e anni, a
dispetto di ogni campagna di stampa, quelle regole così sfacciatamente
lassiste galleggiano senza che alcuno scateni una battaglia per
cambiarle.
«Bene, bravi!», ha esultato Matteo Renzi dopo il
recupero dei quadri del grande pittore fiammingo a casa del boss a
Castellammare di Stabia. «Bene, bravi!», ha esultato Dario Franceschini.
«Bene, bravi!», ha esultato Angelino Alfano. Certo: quella della
Finanza è un’operazione straordinaria. Evviva. Il cancro, però, può
essere affrontato sul serio solo andando a mettere mano a norme
scellerate che consentono a quelli che Fabio Isman ha bollato come «I
predatori dell’arte perduta», di saccheggiare il nostro patrimonio
archeologico, artistico, religioso correndo meno rischi di un pensionato
alla fame che ruba al supermercato.
È umiliante dover tornare a
scrivere di queste storie dopo i mille impegni, le mille promesse, i
mille giuramenti sulla sempre «imminente» riforma del Codice dei beni
culturali varato nel lontano 2004 dall’allora ministro Giuliano Urbani.
Codice che, rendendo ancora più tolleranti le normative già permissive
avviate nel ‘99 dal governo di Massimo D’Alema, non teneva in nessun
conto il fatto che il traffico di opere d’arte rubate, secondo l’Ufficio
delle Nazioni Unite di Vienna, sia il quarto business internazionale
della criminalità organizzata dopo il commercio di droga, di armi e di
prodotti finanziari. E stabiliva per i delinquenti che fanno razzie del
nostro patrimonio sanzioni così ridotte da essere ridicole (esempio: chi
«procede al distacco di affreschi» rischia da 775 a 38.734 euro e 50
centesimi di multa!) e al massimo tre anni di cella. Talmente pochi da
negare il carcere se non dopo una sentenza di terzo grado in Cassazione.
Ciao... Prescrizione assicurata.
Tanto per capirci, spiegava già
ai tempi dell’ultimo governo Berlusconi il sostituto procuratore della
Repubblica di Roma e poi «esperto per i rapporti internazionali e i
recuperi» dei Beni Culturali Paolo Giorgio Ferri, «quel decreto creò una
vera e propria fattispecie nuova di reato, dimenticando del tutto le
aggravanti previste per gli altri tipi di furto». Risultato finale:
«anche quando è teoricamente prevista la possibilità di arrestare il
delinquente non c’è però quella di metterlo dentro. A meno che i
carabinieri o i finanzieri non siano certi di potere dimostrare, con
prove inconfutabili, che il trafficante ha materialmente danneggiato lui
l’opera d’arte che ha in mano». In pratica, concludeva, «se in un
negozio rubi un maglione da 19 euro rompendo un sigillo puoi essere
arrestato, incarcerato e rischi fino a 10 anni. Se ti prendono col
Cratere di Eufronio o qualche altro pezzo che vale milioni no».
Torniamo
a citare tre esempi pazzeschi. Il ritrovamento dello splendido
monumento funerario con figure di gladiatori di Lucus Feroniae a Fiano
Romano, ridotto in 12 pezzi e sepolto in attesa di trovare il
compratore. Il miracoloso recupero dell’eccezionale «sarcofago delle
Muse» trovato da un vecchio tombarolo a Ostia Antica e salvato dal
Gruppo tutela patrimonio archeologico allora diretto da Massimo Rossi un
attimo prima che il trafficante, con un cric da carrozziere, staccasse
le statuine una dall’altra per venderle separatamente e correre meno
rischi. L’intercettazione di un camion che se ne andava probabilmente
all’estero con la grande statua di Caligola in trono che aveva scoperto
nella villa dell’imperatore a Nemi. Tre casi clamorosi non solo per la
bellezza dei pezzi ma perché nessuno dei criminali (nessuno!) era finito
in galera.
Dai e dai, a forza di martellare su questo tasto,
pareva che nell’autunno 2011 qualcosa si muovesse. L’allora ministro dei
Beni Culturali Giancarlo Galan aveva portato infatti in Consiglio dei
Ministri un disegno di legge per raddoppiare le pene: da 3 a 6 anni.
Effetto immediato: la possibilità di arrestare il «predatore», sbatterlo
in cella, allungare i tempi per la prescrizione e le intercettazioni.
La caduta del governo Berlusconi, poche settimane dopo, bloccò tutto.
Sono
passati cinque anni, da allora. E dopo Berlusconi è arrivato Monti e
dopo Monti è arrivato Letta e dopo Letta è arrivato Renzi. La legge,
però, così sacrosanta da essere passata all’unanimità (all’unanimità!)
in commissione dove era stata portata da Felice Casson, è andata a
impantanarsi in Commissione bilancio ed è rimasta lì. Senza che alcuno
mostrasse la volontà politica di risolvere il problema. Tutto immobile,
conferma Paolo Giorgio Ferri. Colpevolmente immobile.
Nel
frattempo, per capire quanto la piaga si sia incancrenita nonostante gli
sforzi delle forze dell’ordine, dei giudici e di tante persone di buona
volontà, chi vuole può farsi un giro sul sito dei carabinieri dei Beni
culturali e per contare
(http://tpcweb.carabinieri.it/SitoPubblico/getOpereRilevanti) quante
sono le «opere di particolare rilevanza» tra i «beni illecitamente
sottratti». Sono salite, tra quadri, statue, tavole, anfore, reperti
archeologici eccetera eccetera, a «22.252 oggetti». La politica, però, è
in altre faccende affaccendata... E magari spera ogni tanto in un colpo
di scena come quello dei quadri di Van Gogh per batter le mani e passar
ad altro.