domenica 2 ottobre 2016

Corriere 2.10.16
Ágnes Heller
«La mia Ungheria, Paese illiberale retto sulla menzogna»
intervista di Maria Serena Natale

La bellezza è una promessa di felicità, scrive la filosofa Ágnes Heller in un recente lavoro firmato con Zygmunt Bauman. La pensatrice nata nel 1929 a Budapest, che perse il padre ad Auschwitz e che all’ombra del male assoluto cominciò il suo corpo a corpo con le contraddizioni dell’essere umano, non ha mai smesso di credere in quella promessa, inseguita negli studi sul Rinascimento, nella riflessione su etica e politica, nel tentativo di conciliare marxismo e soggettività. A Verona per ricevere il Premio Grosso d’Oro Veneziano 2016, Heller risponde al Corriere sulla bellezza dissipata della sua Ungheria, dove l’odio ha preso il posto della solidarietà e l’interesse di pochi manipola il bisogno di molti.
Professoressa Heller, un capitolo nodale della sua analisi del marxismo è la teoria dei «bisogni radicali», come l’amore o il bisogno di comunità, che sono generati all’interno del capitalismo e insieme ne richiedono la trasformazione. Esigenze spesso strumentalizzate, di fatto oggi non riconosciute ai migranti che attraversano l’Europa come fantasmi. Quale destino li attende?
«Non dobbiamo trascurare la distinzione tra profughi di guerra e i cosiddetti migranti economici. I primi si lasciano alle spalle macerie materiali e morali, pretendono a ragione la nostra empatia. I secondi pongono all’Europa una questione più problematica. Si tratta di persone raggiunte nei Paesi d’origine da un racconto mitizzato dell’Occidente come terra promessa. Aspirano legittimamente a condizioni di vita migliori ma l’Europa non può accoglierli in blocco. Soprattutto, sono i primi a restare delusi da una realtà che non è proprio come al cinema o in tv. Per di più nelle nostre società corre un discorso carico d’odio, che ferisce senza distinzioni. E gli immigrati diventano il primo bersaglio».
Terra promessa era anche l’Occidente capitalista per le società del Centro-Est comunista. C’è disincanto oggi nell’ex galassia sovietica?
«Un disincanto “economico”. In Ungheria la maggioranza insegue un benessere riservato a pochi. Il governo ha creato un’oligarchia legata da logiche clientelari che salda potere e corruzione e nega lo stesso principio capitalista del libero mercato. Sfugge alla frustrazione solo chi conserva memoria della vita priva delle libertà fondamentali. Tuttavia negli ultimi sei anni le libertà si sono progressivamente deteriorate nel mio Paese, una liberaldemocrazia con elementi sempre più illiberali».
Oltre che irrazionali... l’Ungheria nel 2015 ha accolto solo 508 domande d’asilo, eppure mantiene la sindrome dell’assedio trasformata da Orbán in volano di consenso interno e moneta di scambio in Europa.
«Più che l’irrazionale, il potere coltiva la menzogna con un linguaggio che distorce la realtà, distrae l’opinione pubblica, convince di verità fasulle e anacronistiche: “Arrivano i terroristi, ci ruberanno le donne e il lavoro, deturperanno la nostra cultura cristiana...”».
Oggi come ieri, cosa spinge una comunità a credere nella menzogna?
«Intere società hanno creduto a Mussolini, Stalin, Hitler... Le persone seguono la macchina della propaganda, che oggi in Ungheria ricorda molto da vicino i tempi del comunismo».
Un totalitarismo strisciante?
«Non c’è sistema totalitario in assenza di due elementi: pena capitale e negazione della libertà di movimento. I nostri confini restano aperti. Vedo più similitudini con l’era Kádár (il leader comunista che negli anni Settanta aprì alla democrazia, ndr ). Di certo non abbiamo un’informazione libera, il potere ha totale controllo sui media».
Nel suo pensiero la filosofia è «radicale» perché sovverte l’ordine costituito. Di quali strumenti dispone oggi la società civile contro l’intorpidimento delle coscienze?
«Può e deve fermare il degrado dell’istruzione. Riscoprire la responsabilità e il dovere di agire per riappropriarsi di un futuro nel quale ciascuno possa rivendicare il diritto allo sviluppo della propria personalità e della propria umanità».