Corriere 28.10.16
I pirati del web alla conquista dell’Islanda
Il partito dato vincitore nel voto di domani
di Luigi Offeddu
«L’altra
notte ho sognato che stavo tuffandomi in politica e che sarei stata la
prima donna eletta premier in Islanda: un vero incubo, voglio dire, se
entri fra le poltrone del potere del cosa ti accadrà».
Birgitta
Jónsdóttir, 49 anni, frangetta da battaglia, poetessa e un tempo
portavoce di WikiLeaks, attivista laicissima che elenca fra i suoi
personaggi favoriti «Papa Francesco, una rockstar», non dovrà aspettare
molto per avere una risposta a questa riflessione, pubblicata qualche
mese fa sulla sua pagina web. Fra poche ore, domani sera, il suo Partito
pirata si affermerà molto probabilmente nelle elezioni politiche in
Islanda. Lei, che i suoi fedeli chiamano «La capitana», non sarà magari
subito premier, perché «noi pirati non abbiamo leader». Ma il suo
partito, fra i seggi del potere, dovrebbe entrarci, eccome. Primo o
secondo, poco importa: importa che Birgitta lo fondò con altri compagni
neppure 5 anni fa, che raggranellava nel 2013 appena il 5% dei voti, e
che oggi li avrebbe quadruplicati: i sondaggi delle ultime ore lo danno
infatti oltre il 20% dei suffragi totali, e a votarlo così sarebbero in
maggioranza elettori sotto i 40 anni.
Temi principali della sua
campagna elettorale: lotta alla corruzione, «trasparenza», disgusto per
il «sistema», dopo il crollo delle banche islandesi nel 2008 e lo
scandalo dei Panama Papers che nello scorso aprile ha travolto il primo
ministro Sigmundur Gunnlaugsson. Per due volte, in pochi anni, l’Islanda
ordinata di un tempo è finita in un pozzo, la piccola casa di vetro è
andata in frantumi. Lo choc è ancora qui: e il voto promesso ai Pirati
appare come una richiesta di vaccino. La «capitana» Birgitta l’ha colta
al volo, sfuggendo a etichette di destra o di sinistra. E ha indovinato
la presa. Così domani si ritroverà addosso gli sguardi di mezza Europa.
Perché quello che si reca alle urne è un piccolo Paese, poco più di 300
mila abitanti, per loro volontà fuori dall’Ue. Ma i partiti che si
autodefiniscono «pirati» sono ormai 50-60 in tutta l’Unione. Molti
sventolano il vessillo dell’antieuropeismo, e hanno esultato per la
Brexit. I corsari di Birgitta sembrano più pragmatici: intanto, però,
prendono il timone di casa propria.
Secondo gli ultimi sondaggi,
il 17% degli islandesi non ha più fiducia nel proprio Parlamento; e
quello è il Parlamento più antico d’Europa, si riunì per la prima volta
quasi 1.100 anni fa. I Pirati propongono agli elettori una nuova
Costituzione, «E-democrazia diretta del web», «libertà di informazione» e
così via. Il nuovo governo, dicono, offrirà asilo e cittadinanza
onoraria a Edward Snowden, l’ex talpa della Cia divenuto l’idolo
mondiale degli hacker. E ogni proposta sostenuta sul web da un numero di
firme pari almeno al 2% della popolazione verrà discussa in Parlamento.
Sempre dal programma del partito, testuale: «Il sistema di voto on-line
è il metodo attraverso cui i Pirati risolvono i contrasti e raggiungono
il consenso sulle proposte politiche». Parentele con i grillini
italiani? Niente risposte ufficiali, ma la primogenitura dell’idea
spetterebbe in questo caso al Movimento 5 Stelle, fondato tre anni prima
dei Pirati islandesi.
Ieri sera è stato raggiunto un accordo per
il dopo voto di Reykjavik: coalizione fra i Pirati e i tre partiti di
minoranza finora rimasti all’opposizione. E non sarà l’«incubo» sognato
qualche mese fa dalla «capitana».