Corriere 28.10.16
Uomo-donna, padri-figli, vivi-morti Antigone , un’eroina per tutti i conflitti
La protagonista del dramma di Sofocle è un pilastro della cultura occidentale
La filosofia di Hegel e Kierkegaard, il teatro di Brecht e Anouilh: tanti debitori
di Laura Zangarini
«Ismene
carissima, conosci sventura fra quante hanno origine da Edipo, che a
noi due sopravvissute Zeus risparmierà?». Il prologo di Antigone si apre
con il dialogo fra la protagonista e sua sorella Ismene. Le due sono di
fronte al Palazzo reale di Tebe, il giorno dopo la grande battaglia tra
gli Argivi (una lega di sette eserciti invasori, capitanata da
Polinice) e i Tebani, battaglia condotta da Polinice per riprendersi la
sua città e il trono usurpato, a suo dire, dal fratello Eteocle. Gli
Argivi sono sconfitti e i due fratelli muoiono entrambi, uccidendosi
l’un l’altro («in un sol giorno morti di reciproca mano»). In mancanza
di eredi maschi, al trono di Tebe sale Creonte. Che come primo atto di
potere del suo governo decide di tributare onori alla salma di Eteocle,
morto difendendo la patria, e di vietare invece che si dia sepoltura a
Polinice («che nessuno lo onori di tomba e di compianto, ma sia lasciato
insepolto cadavere, pasto ad uccelli e cani, seviziato anche a
vedersi...»), che della patria dei padri è traditore e invasore. Per chi
dovesse trasgredire il veto sarà «decretata morte con lapidazione per
mano del popolo».
Quando la notizia del bando giunge alle orecchie
di Antigone, la giovane, decisa a non lasciare insepolto il cadavere
del fratello, chiede a Ismene di aiutarla. «Vuoi seppellirlo infrangendo
il pubblico divieto?», le domanda incredula la sorella. Lei, dice ad
Antigone, obbedirà solo «a chi detiene il potere». Compreso dunque che
Ismene non troverà il coraggio per aiutarla, Antigone se ne separa
(«Lascia che io, con la mia dissennatezza, affronti questo rischio»),
considerandola una traditrice.
Sorpresa a violare il bando di
Creonte rendendo simbolici onori funebri al corpo di Polinice, Antigone
viene arrestata e condannata a morte. Inutilmente Emone, figlio di
Creonte e promesso sposo della giovane, prova a dissuadere il padre dal
suo proposito: il sovrano, temendo di vedere indebolita la sua autorità
agli occhi dei cittadini, fa condurre Antigone a una tomba scavata nella
roccia, nella quale dovrà essere sepolta viva. Solo le parole
dell’indovino Tiresia, che predice a Creonte terribili sventure per il
duplice sacrilegio di cui si è macchiato, impedendo che un morto avesse
sepoltura e seppellendo invece viva Antigone, riescono a fare breccia
nell’animo del tiranno. Che ordina ai servi di liberare immediatamente
la ragazza. Troppo tardi: chiusa nel sepolcro, Antigone si è tolta la
vita, impiccandosi «con un laccio di lino»; Emone, visto il cadavere
della promessa sposa, si suicida sotto gli occhi del padre. Informata
della morte del figlio, anche la regina Euridice si uccide. A Creonte
resta solo la speranza che la morte possa liberarlo presto da tanta
sofferenza.
Dalla data della sua prima rappresentazione, nel 442
a.C. ad Atene, alle Grandi Dionisie (le celebrazioni liturgiche dedicate
al dio Dioniso durante le quali gli autori erano chiamati a gareggiare
in agoni tragici), e per più di due millenni Antigone non è stata
soltanto la tragedia di Sofocle ma è divenuta una sorta di genere
letterario in cui si sono cimentati studiosi e artisti, da Hegel («Una
delle opere d’arte più eccelse e per ogni riguardo più perfette di tutti
i tempi») a Brecht, da Kierkegaard ad Anouilh. Come osserva George
Steiner in Le Antigoni , una delle ragioni di tanta fortuna risiede nel
fatto che in questo testo letterario si concentrano le costanti
principali della conflittualità legate alla condizione umana:
l’opposizione uomo-donna, vecchiaia-giovinezza (che nell’opera si
configura anche come conflitto generazionale tra padri e figli),
vivi-morti, uomini-divinità e, ancora, il conflitto società-individuo.
In
altre grandi opere letterarie e discussioni filosofiche, scrive sempre
Steiner, compare uno o più di questi «binomi fondamentali». Solo però lo
scontro tra Creonte e Antigone, come viene narrato e rappresentato
nella tragedia sofoclea, «rende ugualmente manifesta ognuna di queste
polarità fondamentali».
Se di tutta la letteratura, scrive ancora
Steiner, ci rimanesse solo questa tragedia, anzi solo questa scena
centrale, «i lineamenti fondamentali della nostra identità e della
nostra storia, certamente per quanto riguarda l’Occidente, sarebbero
ancora visibili». L’incontro di Antigone e Creonte «non solo rimane
inesauribile in sé, cioè nella sua formulazione sofoclea, ma continua a
produrre nuove varianti anche ai nostri giorni».
Varianti che
coinvolgono anche le altre due tragedie presentate in questo volume,
Edipo re (di poco anteriore al 425) e Edipo a Colono (rappresentata
postuma nel 401), il re tebano costretto a scoprire, alla fine del suo
lungo cammino alla ricerca della verità, che il suo passato è una lunga
sequenza di orrori e delitti. Mentre le ultime, desolate parole del Coro
ci ricordano: «Non dire felice uomo mortale, prima che abbia varcato il
termine della vita senza aver patito dolore».