Corriere 28.10.16
Il presidente Inps Boeri: un rischio la sanatoria
«Le nuove pensioni? Così corre il debito»
«La mia riforma costava meno effetto cartelle, crollati i pagamenti»
intervista di di Federico Fubini
Il
presidente dell’Inps Tito Boeri, 58 anni, al Corriere : «Secondo le
stime, le nuove pensioni porteranno a un aumento del debito». Per Boeri
la sanatoria è un rischio. «Troppe questioni aperte che possono generare
ulteriori spese».
Tito Boeri, 58 anni, irrompe in una sala del
palazzo dell’Inps in piazza Colonna a Roma e subito torna indietro.
Hanno portato via il tavolo, quell’ala dell’edificio andrà presto in
affitto. A quasi due anni dall’inizio della presidenza Boeri, l’Istituto
nazionale previdenza sociale è un cantiere di risparmi, messa a frutto
delle risorse, riforme. Il professore si sistema in un’altra sala e
spiega perché non vive il suo mandato da tecnico come una consegna al
silenzio sulle grandi questioni del Paese. Poco importa se qualcuno al
governo, in parlamento o nelle parti sociali si innervosisce per questo.
«La previdenza ha orizzonti lunghi - dice -. Prima ancora del diritto,
ho il dovere di segnalare quando certe misure hanno effetti sul debito
pensionistico».
Il debito pensionistico sono i pagamenti dovuti in
futuro ai lavoratori e ai pensionati di oggi, al netto dei contributi.
Dov’è il problema?
«La premessa è che la nuova legge di bilancio
compie un’operazione importante sulle pensioni: elimina le
ricongiunzioni onerose fra casse previdenziali diverse. È positivo per
l’equità e anche per l’efficienza e la crescita, perché evita di
penalizzare chi cambia lavoro».
Un segno più per questa parte della manovra?
«Sicuramente.
C’è poi una seconda operazione che questa legge di bilancio tenta, la
flessibilità in uscita. Anche questa è un’idea che abbiamo sostenuto,
però stando attenti a non aumentare gli oneri sulle generazioni future».
Trova che la manovra, con 7 miliardi di costo dell’intervento sulle pensioni, rispetti questo criterio?
«Secondo
le nostre stime, ciò che oggi è scritto nella legge di bilancio - gli
interventi sulla quattordicesima, sui lavoratori precoci e la
sperimentazione sull’Ape social (l’anticipo pensionistico a spese dello
Stato, ndr ) - aumenta il debito pensionistico di circa 20 miliardi. Poi
ci sono i costi legati all’estensione della fascia di reddito non
tassata per i pensionati, più i crediti d’imposta per chi chiede l’Ape
di mercato (l’anticipo pensioni tramite prestito bancario, ndr ). E
varie altre questioni aperte, che possono generare ulteriori spese».
Esempi di queste incognite?
«Non
è detto che dopo il 2018 sarà facile interrompere l’Ape social, anzi la
pressione ad allargare la platea dei beneficiari sarà forte. Se questo
strumento venisse rinnovato anche solo nella forma attuale e reso
strutturale, calcoliamo che ci sarebbero altri 24 miliardi di debito
pensionistico. Dunque in totale 44 miliardi in più».
Pier Carlo
Padoan, il ministro dell’Economia, ribatte che è lei ad aver presentato
una proposta di flessibilità pensionistica che implica aumenti dei
costi.
«Le nostre proposte riducevano il debito pensionistico ed
era anche prevista una riduzione parziale di certe pensioni attuali.
Abbassavamo così il debito pensionistico di circa il 4% del prodotto
interno lordo».
Il governo produce 20 miliardi di nuovi oneri, più
forse altri 24, mentre la proposta Boeri implicava 60 miliardi in meno.
Che costi sociali avrebbe avuto la sua idea?
«Be’, non era
un’operazione così radicale. Sulle pensioni attuali i tagli erano
previsti solo a contare dai 5.000 euro lordi al mese verso l’alto e solo
sulla differenza fra quanto giustificato dai contributi versati e
quanto le persone ricevono. In rari casi ci sarebbe stata una riduzione
della pensione appena superiore al 15%. Non drammatico, dal punto di
vista sociale».
Lei ha rapporti complessi con i sindacati sulla gestione dell’Inps. Dopo le misure in manovra, cosa cambia?
«I
sindacati hanno un ruolo essenziale nell’informare lavoratori e
pensionati, soprattutto con questi nuovi provvedimenti. Discuterò con
loro un piano per chiarire a tutti cos’è l’Ape e le scelte che ciascun
lavoratore sarà chiamato a fare. Dovremo essere più presenti nei
territori per spiegare, numeri alla mano, le implicazioni di ogni scelta
su come e quando percepire la pensione. Peraltro l’Ape porta a svolgere
attività molto diverse dalle nostre tradizionali, imponendoci una
tempestività stringente. Mi auguro che in Legge di bilancio ci siano
risorse per fare assunzioni e permettere all’Ape di funzionare. Oggi
l’età media dei dipendenti Inps è di 55 anni e in aumento».
Nel bilancio c’è anche la sanatoria su penali e interessi per chi è in ritardo su tasse o contributi. Che ne pensa?
«Mi
preoccupa che possa avere effetti sulla raccolta contributiva. Con
operazioni di questo tipo c’è sempre il rischio di dare segnali di
lassismo, non vorrei si indebolisse la campagna fatta per contrastare
l’evasione. Se in qualche modo si diffonde la percezione che ritardando o
dilazionando i pagamenti poi non si pagano sanzioni, il rischio di
indebolire questo sforzo c’è».
Vedete già effetti del genere?
«Be’,
i dati dicono che le imprese che pagano le sanzioni poi tendono a
dichiarare più lavoratori. La sanzione pagata incide come deterrente.
Poi c’è l’effetto sulle riscossioni, che sono crollate da quando in
Italia si è cominciato a parlare di questa “rottamazione” delle
cartelle».
Sugli effetti del Jobs Act sull’occupazione arrivano tanti numeri contraddittori. Lei che idea si è fatto?
«Nel
2015 c’è stato un forte incremento del lavoro dipendente e dei
contratti a tempo indeterminato, di circa 800 mila unità. Poi nel 2016
il numero di questi contratti si è stabilizzato».
C’è polemica sul fatto che sarebbero aumentati i licenziamenti. È fondata?
«No.
Se si guardano i dati, la probabilità di licenziamento in Italia cala
dal 7% del 2014 al 6% del 2015 con l’entrata in vigore del Jobs Act, poi
resta su questi livelli nel 2016. In ogni caso i numeri dei
licenziamenti disciplinari su cui si è fatta molta polemica sono
piccoli».
Lei al referendum costituzionale come vota?
«Non
posso dichiararmi, sono un funzionario pubblico. Mi auguro solo che le
persone riflettano sui contenuti del referendum, su quello che c’è
dentro».
Però lei di recente ha parlato di reddito minimo e di
controlli su prestazioni come le pensioni di invalidità, in connessione
al referendum. Che voleva dire?
«Il nuovo titolo V (che riporta
verso il governo parte dei poteri delle regioni, ndr ) potrebbe darci
gli strumenti per fare meglio le politiche sociali in Italia, anche
perché in passato si era andati troppo in direzione del decentramento.
Per esempio se vogliamo un reddito minimo, c’è bisogno di uno schema che
sia in gran parte finanziato dal centro, ma con la partecipazione degli
enti locali. Altro punto: ci sono differenze notevoli fra provincie
nell’accesso alle indennità di accompagnamento, che non si possono
spiegare con l’età media degli abitanti o con la loro salute».
C’è chi le chiama false pensioni di invalidità, diffuse soprattutto al Sud. Ma che c’entra il referendum?
«Va
garantita uniformità sul territorio nazionale nel fare gli
accertamenti, vincendo le resistenze di molte Regioni. Meglio
un’infrastruttura nazionale unica per questo».
Dicono lei si voglia dimettere. È vero?
«No,
voglio portare a termine il mio lavoro. È una sfida complessa, forse
anche più difficile di quanto pensassi. Ma non ho mai parlato o
minacciato di dimettermi. Allo stesso tempo, sono qui non perché ho
chiesto di fare questo lavoro ma perché mi è stato chiesto. Ne sono
onorato. Ma basterebbe che il presidente del Consiglio mi chiedesse
anche solo velatamente di fare un passo indietro, per spingermi a farlo
subito. Lo farei senza rancore, perché mi piace troppo fare quello che
facevo prima».