Corriere 27.10.16
I tagli soffocano le partite Iva
È il terziario «low cost»
di Dario Di Vico
Per
 le partite Iva non si annunciano tempi facili. Il motivo può essere 
sintetizzato così: le norme migliorano ma le relazioni di mercato 
peggiorano. Arriverà a fine anno lo Statuto del lavoro autonomo ed è 
stata ottenuta una riduzione dei contributi alla gestione separata 
dell’Inps, ma di vera e propria ripresa nemmeno l’ombra. Nel business la
 parola d’ordine è «massimo ribasso», centrale per la Pubblica 
amministrazione e ben presente anche nel sistema privato. E si delinea 
un terziario «senza qualità». A Roma più che a Milano. Commercio e 
ristorazione segnano il passo, aumentano medici e infermieri a partita 
Iva. Per tutti vale però la filosofia, senza orizzonte, del low cost.
S
 ono in arrivo entro fine anno nuove misure per tutelare la dignità del 
lavoro autonomo (lo Statuto) ed è stata anche ottenuta una riduzione del
 contributo alla gestione separata Inps ma per le partite Iva non si 
annunciano tempi facili. Il motivo può essere sintetizzato così: le 
norme migliorano ma le relazioni di mercato peggiorano. Il terziario 
italiano vive infatti una stagione di grandi difficoltà e il massimo 
ribasso sembra diventato la filosofia dominante. A praticarlo sono le 
amministrazioni pubbliche nei bandi che emettono ma anche il sistema 
(privato) delle imprese non si comporta molto diversamente, pare che la 
qualità del servizio interessi meno. È passata l’idea che i servizi non 
siano capaci di produrre valore e ne vadano quantomeno limitati i costi.
 E la vicenda, per altro molto diversa, dei call center sembra avere un 
punto in comune: la relazione con il mercato/consumatori, che dovrebbe 
essere decisiva, viene affrontata solo con la logica del prezzo più 
basso.
Il bilancio tra chi apre e chiude
Torniamo alle 
partite Iva. Rispetto al passato i dati sulle aperture vanno a 
singhiozzo, in generale scendono rispetto al 2015 ma capita anche che 
qualche mese faccia eccezione. Quest’anno c’è stato un calo di aperture 
per cinque mesi consecutivi (con punte di -7%) interrotto solo dal dato 
di agosto. Vale la pena però ricordare come in Italia dall’inizio della 
Grande Crisi al 2015 si siano comunque aperte ogni dodici mesi circa 
500-560 mila nuove partite Iva. Sulle chiusure i dati pubblicati dal Mef
 si fermano al 2014 e mediamente si può dire che ne cessano ogni anno 
tra le 350 e le 400 mila. Il commercio e la ristorazione, che erano 
stati i settori prevalenti, segnano il passo anche perché gli spazi di 
mercato — specie nelle grandi città sulla scia di Expo — si sono 
intasati e non è facile inserirsi con nuove proposte. E anzi c’è il 
rischio di un turnover ancora più rapido e inoltre l’avanzata del 
commercio online sta modificando la mappa del settore ovviamente a 
vantaggio dei big player e non certo dell’auto-impiego. Anche 
l’agricoltura cresce seppur con un andamento altalenante mentre il 
settore che sembra promettere maggiori chance è la sanità «allargata». 
Aumenta sia il numero di medici/infermieri a partita Iva sia l’apertura 
di centri di fitness e fisioterapia. Per i professionisti non ordinisti 
che lavorano prevalentemente con le amministrazioni locali (formazione, 
consulenza sulle politiche pubbliche) non tira buona aria nonostante la 
liberalizzazione dei bandi Ue.
L’outsourcing povero
Ma sono i
 comportamenti del sistema delle imprese quelli che vanno attentamente 
monitorati. Le filiere produttive si allungano e comprendono anche il 
segmento dei servizi e del resto spesso l’innovazione di oggi è a valle 
ma siamo di fronte a un peggioramento dell’outsourcing. Prima la 
filosofia che induceva all’esternalizzazione era quella di risparmiare e
 di avere nel contempo competenze professionalizzate/indipendenti ma i 
segnali che arrivano oggi dal mercato parlano però di un outsourcing 
«povero». Alcune attività professionali vengono trattate come delle pure
 commodity e questo avviene anche nella capitale italiana del terziario,
 Milano, che pure giura di puntare sulla qualità. Anche per i creativi 
non sono tempi di vacche grasse. E nei giorni scorsi anche Confcommercio
 Professioni ha organizzato un convegno pubblico per manifestare il 
disagio di consulenti del lavoro, psicologi, guide turistiche e persino 
erboristi. La conseguenza, infatti, è che il mercato delle professioni 
si polarizza drasticamente, con differenze che riguardano la tipologia 
delle professioni e attraversano ciascuna di esse. La divaricazione è 
molto selettiva e si può stimare nelle proporzioni di 1/4 che conserva 
commesse e margini e di 3/4 che trova spazi sempre più esigui e di 
conseguenza non è in grado di finanziare le spese per aggiornare le 
competenze. I motivi secondo Anna Soru, presidente di Acta 
(professionisti del terziario avanzato) sono questi: «Una ripresa 
economica debole, un eccesso di offerta in tante professioni anche 
ordinistiche e l’assenza di minimi contrattuali che facciano da argine. 
Lo Statuto del lavoro autonomo affronta questo nodo normando la tutela 
dei pagamenti e combattendo le clausole vessatorie ma per tentare di 
regolare i compensi la strada è più complessa». Commenta l’economista 
Enzo Rullani: «La svalutazione della prestazione sul breve colpisce le 
partite Iva ma sul medio-lungo periodo ne fa le spese la stessa impresa.
 Purtroppo manca la consapevolezza di questa dinamica, se un’azienda non
 è contenta dei propri consulenti dovrebbe cambiarli, non pagarli meno. 
Aggiungo che la digitalizzazione porta con sé un’inevitabile 
standardizzazione del servizio che finisce per costare sempre meno ma 
infligge all’impresa la doppia condanna della mancata qualità e della 
perdita di identità».
Roma batte Milano
Se dal Nord ci 
spostiamo a Roma le cose non cambiano. La Capitale nell’apertura di 
partite Iva batte Milano (nei primi otto mesi del 2016 sono state 30.958
 contro 22.813) e molto si spiega con una richiesta esplicita delle 
amministrazioni pubbliche e con il peso delle collaborazioni esterne in 
Rai. Roma è città di servizi ma sconta la mancata nascita di un 
terziario moderno. Commercialisti che vendono pacchetti di servizi 
contabili e fiscali tutto compreso a 30 euro al mese, avvocati che 
accettano 10 euro per andare in udienza, bandi pubblici dove viene 
scritto che determinate prestazioni professionali sono svolte a titolo 
gratuito. Pure il turismo che rappresenta una voce importante del Pil 
laziale non ha visto nascere nuove figure professionali e un’innovazione
 di prodotto. Le amministrazioni spesso ricorrono alle cooperative per 
far scendere il costo del lavoro e nei servizi tradizionali la 
concorrenza al ribasso è quasi senza limiti con il rischio che le 
piattaforme di servizi contabili continuino a trasferirsi in Albania e 
domani in India. «Siamo a un bivio — spiega Andrea Dili, presidente di 
Confprofessioni Lazio —. O una lenta agonia condita dall’illusione di 
fare concorrenza sul prezzo di servizi a sempre più basso valore 
aggiunto o reinventare il comparto dei servizi professionali puntando su
 specializzazione, integrazione e aggregazione delle competenze». 
Purtroppo l’eccessiva frantumazione degli studi professionali italiani 
non aiuta.
Se questo per sommi capi è il quadro che si trovano 
davanti i giovani, i professionisti della conoscenza e anche molti 
ordinisti, che considerazioni si possono fare? Di sicuro c’è stata 
un’età dell’oro in cui il mondo professionale ha goduto di rendite di 
posizione ed è riuscito a farsi strapagare in virtù di una sorta di 
rendita monopolistica, ma il quadro è del tutto cambiato. La 
cancellazione delle tariffe e delle regole conseguenti è stata una 
richiesta di Bruxelles e anche della cultura liberale italiana per 
abbattere vincoli e corporazioni, i risultati però li abbiamo davanti 
agli occhi. Rischiamo di diventare la società del massimo ribasso e di 
compromettere ancora di più le performance di produttività di un 
terziario a basso valore aggiunto.
 
