Il Sole 27.10.16
Roma e Bruxelles condannate a intendersi
di Adriana Cerretelli
Nel
secondo trimestre, certifica Eurostat, il deficit medio dell’eurozona è
sceso ai minimi da 8 anni: 1,5% contro il 2,1% dello stesso periodo
2015, metà del tetto del 3% di Maastricht. Il debito è calato dal 92,1%
al 91,2%, ancora lontano dalla soglia del 60% ma in costante discesa. I
conti migliorano, la crescita dà segni di cauta accelerazione,
l’inflazione molto meno ma il problema è un altro: le medie minimizzano
squilibri e divergenze aumentate nell’eurozona negli ultimi anni, quelle
che spiegano la profonda e costante crisi di fiducia in cui si dibatte.
Visto
con questo filtro, più che il braccio di ferro tra il Paese
spregiudicato e il suo ottuso sorvegliante, lo scontro Roma-Bruxelles di
queste ore appare il riflesso di due imperativi confliggenti ma
entrambi più che comprensibili.
Da una parte ci sono l’Italia e la
sua Finanziaria 2017 che tirano le regole europee per i capelli per
fare, almeno sulla carta, più crescita, investimenti e lavoro e di qui
per rendere alla lunga più solida la sostenibilità del suo mega-debito. E
che invocano fatti eccezionali quali terremoti e flussi migratori per
allargare i propri margini di manovra. Condannarli senza remissione
quando i contraccolpi del troppo rigore hanno lasciato dovunque il
segno, le politiche espansive delle banche centrali più di tanto non
riescono a carburare l’economia globale e per questo un numero crescente
di investitori, politici e lo stesso Fmi riscoprono l’arma degli
stimoli fiscali e degli investimenti pubblici?
Dall’altra parte
c'è la Commissione europea che non può dimenticare gli impegni presi dal
Governo Renzi nella primavera scorsa, anche perché del loro rispetto
deve rispondere ai ministri dell’Eurogruppo con i quali l’Italia li ha
concordati in cambio di generosi margini di flessibilità: 1,1% del Pil,
circa 19 miliardi, tra il 2015 e il 2016. Il prezzo doveva essere il
ritorno quest’anno sul sentiero del graduale riequilibrio dei conti con
la riduzione del deficit nominale all’1,8% e di quello strutturale allo
0,6%.
Stupidità ideologico-burocratica, sudditanza psicologica ai
desiderata dei Signori del Nord, rifiuto di fare i conti con la realtà
dell'economia che invece si ostina a non digerirli? Interpretazioni
semplicistiche e fuorvianti. L'Europa ha fatto molti errori e li paga
con il consenso popolare che le evapora in mano. Ma non può ignorare
problemi strutturali e divergenze crescenti che si accumulano dentro
l'eurozona, nonostante i dividendi del Qe, la manna dei tassi simil-zero
che regalano cospicui risparmi ai grandi debitori ma ancora una volta
sono utilizzati più per le spese che per riforme e investimenti.
Per
questo e non per scelte ideologiche, per non aggravare distorsioni e
soprattutto sfiducia reciproca dentro il club dell'euro, la flessibilità
non può diventare una politica stabile ma deve restare uno strumento
temporaneo e eccezionale. Tanto più quando due leader periferici e
democristiani, l'irlandese Enda Kenny a nord e lo spagnolo Mariano Rajoy
a sud, nonostante i tagli imposti ai rispettivi Paesi, sono riusciti a
restare al governo in barba ai populismi. E ancora di più quando in
Grecia e Portogallo due governi di sinistra spinta perseverano sulla
strada del risanamento. Alexis Tsipras a fatica e al prezzo di
un'impopolarità crescente. Antonio Costa con risultati molto positivi se
è vero che quest'anno abbatterà il deficit dal 4,4% al 2,4%, meno del
2,5% chiesto da Bruxelles aumentando l'avanzo primario del 27% rispetto
al 2015. L'Italia non può permettersi il lusso dello splendido
isolamento in Europa. Anche perché non sarebbe per niente splendido con
le sanzioni dei mercati sempre all'erta. Nemmeno l'Europa però può
permettersi di darle impunemente una spallata: l'instabilità politica ed
economica italiana è un altro lusso proibito. Entrambi dunque sono
condannati a intendersi: prima lo fanno con reciproco realismo, meglio
sarà per tutti. Sognare di stravincere oggi equivale a programmare il
disastro collettivo. La retorica delle cannoniere non paga. Per nessuno.