Corriere 25.10.16
L’infinito recuperato
Il paradiso delle cose senza un termine diventa accessibile grazie alla libertà
di Bruno Codenotti
L
e nostre azioni avvengono all’interno di spazio e tempo finiti e, che
lo vogliamo o no, la nostra intuizione ne è necessariamente
condizionata. Il finito pone vincoli con cui ci scontriamo
quotidianamente. Quante volte ci lamentiamo perché non c’è posto per
parcheggiare la macchina, non c’è un tavolo libero al ristorante, o
perché non abbiamo tempo a sufficienza per dedicarci alle nostre
attività preferite?
D’altro canto, il finito ci consente di
misurare e confrontare: possiamo chiedere una fetta di torta più grande,
protestare perché ci venga assegnato un tempo maggiore per svolgere un
dato compito o controllare che il resto della spesa sia corretto.
Il
finito è un mondo in cui ci sappiamo orientare, dove gli attributi di
maggiore, minore e uguale hanno un significato ben preciso e del tutto
condiviso. Dal punto di vista matematico, tale mondo è governato da un
principio, dovuto a Euclide, secondo cui il tutto è maggiore di ogni sua
parte.
Proviamo adesso a liberarci dai vincoli imposti dal finito
per avvicinarci alla libertà che caratterizza l’infinito. Che cos’è
l’infinito? Rappresenta semplicemente la negazione della possibilità di
misurare? Dobbiamo accontentarci di riconoscere — come annotava nel suo
Zibaldone Leopardi — che «l’infinito è un parto della nostra
immaginazione?». Oppure c’è dell’altro?
Nel XVII secolo, Galileo
si cimentò con queste domande, esaminando l’infinità dei numeri interi
positivi e cercando di confrontarla con quella dei quadrati perfetti.
Sebbene vi siano molti numeri interi che non sono quadrati perfetti, è
possibile mettere in corrispondenza biunivoca l’insieme dei numeri
interi positivi e l’insieme dei quadrati perfetti, associando ad ogni
intero il suo quadrato e, viceversa, a ogni quadrato la propria radice
positiva, che esiste, è unica ed è un intero positivo.
La
situazione è paradossale perché l’insieme dei numeri interi positivi
contiene elementi che non sono quadrati perfetti, mentre tutti i
quadrati sono numeri interi positivi: entra così in crisi il principio
secondo cui il tutto (gli interi positivi) dev’essere maggiore di ogni
sua parte (i quadrati perfetti).
Pur comprendendo che il numero
dei quadrati perfetti è in qualche senso non inferiore a quello di tutti
i numeri, Galileo dovette accontentarsi di concludere che «gli
attributi di eguale, maggiore e minore non hanno luogo ne gl’infiniti,
ma solo nelle quantità terminate».
Ci siamo così liberati dai
vincoli del finito, ma a che prezzo? Ci siamo affacciati su un mondo in
cui non sappiamo più come misurare o contare: se il tutto può essere
uguale a una sua parte, la nostra intuizione non è più in grado di farci
da guida. Può farlo la matematica?
Abbiamo dovuto pazientare fino
alla seconda metà del XIX secolo, perché venisse effettivamente in
nostro soccorso. Grazie alla geniale e ardita opera del matematico
tedesco Georg Cantor, l’infinito entrò a pieno titolo nella matematica
negli ultimi decenni dell’Ottocento.
Prendendo spunto dal lavoro
del matematico boemo Bernard Bolzano, Georg Cantor sviluppò la teoria
degli insiemi infiniti, una disciplina che ha rivoluzionato la
matematica moderna, offrendo strumenti adeguati ad affrontare le sfide
che avevano messo alle corde Galileo.
Usando le corrispondenze
biunivoche, Cantor riuscì a confrontare tra loro gli insiemi infiniti
(per esempio l’insieme dei punti di un segmento con l’insieme dei numeri
interi), ridefinì i concetti di minore, maggiore e uguale in modo da
adattarli all’infinito e, infine, dimostrò che esistono infiniti di
natura diversa: l’infinito matematico, lungi dall’essere
indifferenziato, si presenta addirittura in infinite forme diverse.
Questi
risultati, che incontrarono l’ostilità delle autorità matematiche del
tempo, portarono, qualche decennio più avanti, il grande David Hilbert
ad affermare con decisione: «Nessuno ci potrà cacciare dal paradiso che
Cantor ha creato per noi».
Si tratta di un paradiso non riservato
agli addetti ai lavori; ci sono entrati scrittori come Borges e Calvino e
uno psicoanalista come Matte Blanco, che ne ha fatto addirittura uso
nel saggio L’inconscio come sistemi infiniti , dove le proprietà
fondamentali degli insiemi infiniti vengono accostate a certe
caratteristiche dell’inconscio. L’infinito matematico, che alla nostra
esperienza cosciente appare come controintuitivo ed estraneo, trova una
naturale corrispondenza con la libertà che solo l’inconscio può
concedersi.