Corriere 25.10.16
Le mire del sultano Erdogan nell’Iraq del dopo Isis
di Lorenzo Cremonesi
Delle
aspirazioni «neo-ottomane» di Recep Tayyip Erdogan si parla da lungo
tempo. In genere si sono tradotte in azioni diplomatiche, al massimo nel
sostegno con armi e denaro ai suoi protetti in Medio Oriente. Negli
ultimi mesi però le cose sono cambiate radicalmente: il 24 agosto il
presidente turco ha inviato i suoi soldati nella Siria nord-orientale e
adesso si sta posizionando per prendere Raqqa, la capitale del
Califfato. Ma è a Mosul che la svolta turca sta assumendo sostanza. Tra
600 e 800 militari turchi sono posizionati nel villaggio di Bashiqa,
dove hanno addestrato 4.5000 uomini di una milizia sunnita-turcomanna
locale. Negli ultimi tre giorni inoltre le artiglierie turche hanno
aperto il fuoco per favorire l’avanzata dei peshmerga curdi.
Al
premier iracheno Haider al Abadi, che insiste con durezza per il ritiro
immediato delle truppe turche chiamandole «forze di invasione» e
addirittura minacciando azioni militari per scacciarle, Erdogan risponde
che non se ne parla neppure. «Noi abbiamo responsabilità storiche nella
regione», dichiara riferendosi alla centralità di Mosul per l’Impero
Ottomano prima del suo collasso in seguito alla Grande Guerra. Il
messaggio è chiaro: la Turchia guarda già al dopo Isis nello sfascio dei
confini creati da Francia e Inghilterra cento anni fa. Se la battaglia
per Mosul segnerà la fine di Isis, Erdogan è deciso più che mai a
concorrere alla determinazione delle nuove frontiere. I curdi iracheni
sono con lui. Nel 2003 fu contrario all’invasione americana contro
Saddam Hussein. Ma proprio quell’invasione ha condotto al caos attuale. E
per lui si apre un’occasione unica. Ataturk, il padre della patria,
provò, ma senza successo, a strappare Mosul agli inglesi. Se lui adesso
riuscisse a conservare un’influenza reale sulla città sarebbe davvero il
nuovo Sultano.