Corriere 25.10.16
«Io dissento», l’irresistibile Ruth icona a 83 anni dei giovani nei campus
Giudice della Corte suprema, ha dato battaglia sui temi politici e sociali
di Giuseppe Sarcina
NEW
YORK L’immagine della giudice Ruth Bader Ginsburg è uno dei tatuaggi
più richiesti dagli studenti di diritto di Washington. Ma figura anche
sulla copertina di un libro per bambini dai quattro agli otto anni,
appena pubblicato negli Stati Uniti: «I dissent», Io dissento. E poi
viene riprodotta su magliette, sacche da spiaggia, tazzine e bicchieri.
Ruth Bader Ginsburg, 83 anni, è la più sorprendente delle star
americane. Tiene banco sui Social Network. «Non posso uscire di casa,
che c’è qualcuno che vuole farsi una foto con me», racconta a Yahoo!
È
una donna che ha sofferto, che ha avuto la meglio due volte sul cancro.
Ed è uno spirito libero, ecco perché entusiasma i giovani. Un fenomeno
che ricorda la popolarità di Bernie Sanders: «Feel the Bern». A luglio
la giudice Ruth aveva definito pubblicamente Donald Trump «un impostore»
e in agosto aveva bollato come «stupida» la protesta del giocatore di
football Colin Kaepernick che si era inginocchiato durante l’esecuzione
dell’inno nazionale. Ha riconosciuto di aver esagerato tutte e due le
volte e si è scusata.
Nata a Brooklyn, da una famiglia di ebrei
russi, studia alla Cornell University, dove, diciassettenne, incontra
Martin Ginsburg, l’uomo che sposerà tre anni dopo e con cui avrà due
figli. Nel 1956 si iscrive alla Harvard Law School, la stessa che negli
anni Ottanta frequenterà Michelle Obama. Poi corsi di perfezionamento
alla Columbia University di New York. «Ero pronta per il lavoro — ha
commentato in una recente intervista alla Cbs —. E quante offerte
ricevetti? Zero. Avevo tre cose contro di me. Primo: ero un’ebrea.
Secondo: ero una donna. Ma la cosa peggiore era la terza: avevo un
figlio di quattro anni».
Oggi Ruth Bader Ginsburg è chiamata a
dire l’ultima parola sulla vita politica e sociale del Paese dai banchi
della Corte suprema. Fu il presidente Bill Clinton, il 14 giugno del
1993, a nominarla tra i nove togati che rappresentano l’istanza finale
del sistema giudiziario. Fu confermata dal Senato praticamente
all’unanimità.
Trent’anni sempre da pioniera, prima di arrivare
sugli scranni più alti di Washington. Professoressa di diritto, poi
avvocato e nello stesso tempo attivista per la difesa dei diritti delle
donne. Nel 1972 fonda una delle associazioni chiave di quegli anni
«Women’s Rights Project», con l’American Civil Liberties Union. E in
questi ventitré anni alla Corte suprema ha contribuito in modo decisivo a
costruire la giurisprudenza sulle pari opportunità,
l’autodeterminazione della donna sull’aborto, il matrimonio tra
omosessuali. Il suo principale avversario-interlocutore era Antonin
Scalia, la quinta essenza della dottrina conservatrice americana. I due
hanno animato fiere discussioni e coltivato un’intensa amicizia, oltre
che la passione comune per l’opera. Nel 2015 la rivista Time inserì Ruth
Bader Ginsburg tra i 100 personaggi più influenti e chiese proprio a
Scalia di scriverne il profilo. Un’impresa.
Difficile afferrare
fino in fondo una personalità come la sua. Il suo tratto severo è
attenuato da occhi verdi, orecchini vivaci e guantini di pizzo. Nelle
sentenze adotta un linguaggio ricercato, non convenzionale per la
cultura americana. Di recente ha usato l’espressione francese faute de
mieux , «in mancanza di meglio», costringendo gli addetti ai lavori ad
affannose ricerche on line. Due volte alla settimana si presenta in una
palestra di Washington: 10 flessioni, qualche esercizio alla panca.
Indossa una felpa con la scritta: «Super diva». Naturalmente.