Corriere 23.10.16
In cosa è diversa da Renzi?Quello che la destra non sa dire
di Ernesto Galli della Loggia
Se
vuole essere competitiva elettoralmente il problema della Destra
italiana è soprattutto uno: trovare da dire qualcosa di diverso da ciò
che dice la Sinistra di Matteo Renzi (anche quello del leader è un
problema, ma è ovviamente subordinato al primo). Obiettare a queste
considerazioni — come hanno fatto nei giorni scorsi alcune voci della
Destra stessa — che in realtà Renzi è solo un trasformista che non ha
per nulla cambiato il volto della Sinistra, significa volersi consolare
con le parole. Come spiegare infatti, allora, la guerra feroce che sia
al vertice che alla base contro di lui conduce una parte considerevole
della vecchia Sinistra? Né molto di più vale obiettare che Renzi è ben
lungi dall’essere riuscito a realizzare il suo programma. Per la
semplice ragione che tali parole, dette da destra, suonano a un dipresso
come quelle del bue del proverbio che dava del cornuto all’asino.
Dov’è, infatti, tanto per fare un solo esempio, la famosa «rivoluzione
liberale» che Berlusconi ci aveva promesso vent’anni fa? Dov’è mai
finita?
Il fatto è che da almeno un paio di decenni in Italia
l’attività di governo — di qualunque governo, con qualunque programma — è
di volta in volta condizionata da una serie così ampia di «precedenti»,
di contrattazioni con gli alleati, di pressioni corporative e
lobbistiche, di trattative con i sindacati, di pareri del Consiglio di
Stato, di tempi legislativi e di ricorsi legali.
E poi ancora
trappole lessicali, eccezioni costituzionali, interpretazioni
burocratiche, necessità di regolamenti attuativi, il tutto tale da
rendere l’attività suddetta una vera fatica di Sisifo e dai risultati
quasi sempre inevitabilmente modesti. Se poi si aggiungono i fortissimi
vincoli esterni (debito pubblico e direttive europee varie), e si
considera il fatto che certi obiettivi di fondo non possono che essere
in ogni caso eguali per chiunque governi (gli investimenti, lo sviluppo,
ecc, ecc.), ne deriva che specie nel campo una volta cruciale delle
politiche economico-sociali le differenze possibili tra Destra e
Sinistra sono ormai assai limitate. Sarebbe meglio che così non fosse,
naturalmente, ma è giocoforza ammettere che così invece è.
Sicché è
un altro — non solo in Italia: nel resto dell’Occidente è più o meno lo
stesso — il terreno dove oggi possono realmente manifestarsi i diversi
orientamenti tra Destra e Sinistra, le loro diverse identità se ancora
esistono. Innanzi tutto, come è ovvio, nel tono e nello stile di
governo, nella qualità del personale politico-amministrativo, nei modi
di parlare al Paese. Ma poi, direi, specialmente nel campo della
politica estera, dell’istruzione, della tutela dei beni artistici e
paesistici, dell’immigrazione e dell’integrazione degli immigrati, in
ciò che riguarda le questioni bioetiche, l’estensione dei diritti
soggettivi, il degrado urbano, il contrasto al crimine organizzato, il
divario Nord-Sud, la lotta alla corruzione e allo sfruttamento del
lavoro clandestino, l’organizzazione della giustizia, la semplificazione
giuridico-amministrativa della vita quotidiana. Anche in questi settori
ci sono vincoli esterni, ovviamente. Ma sono perlopiù di una minore
forza, e quindi si prestano ad essere gestiti in modi diversi dalla
Destra e dalla Sinistra. Almeno così come accade in quasi tutti i Paesi
paragonabili al nostro.
Dove invece le cose vanno diversamente,
dal momento che proprio sui temi anzidetti da parte della Destra
politica italiana si manifesta un tradizionale deficit di riflessione e
perciò di proposte. Di proposte vere sottolineo: le quali o in molti
casi mancano del tutto (penso a temi come la lotta alla corruzione, il
degrado urbano, la politica estera, la tutela dei beni artistici e
naturali), ovvero sono sostituite da parole d’ordine dal valore
esclusivamente agitatorio come quelle che si sentono ad esempio quando
si parla d’immigrazione o di ordine pubblico (tipo: «Bisogna impedirgli
di arrivare», «Bisogna rimandarli indietro», «Bisogna sbatterlo in
prigione e buttar via la chiave» e altre vacuità del genere). Non solo,
ma pure quando capita che su certi temi la Destra decida d’impegnarsi a
fondo — è il caso, per esempio, dell’adozione da parte delle coppie
omosessuali del figlio di uno dei partner — l’impressione è sempre
quella di una sua scarsa capacità di dare alle proprie ragioni la
necessaria profondità argomentativa, di essere davvero persuasiva. Con
il risultato di una costante, grande difficoltà a estendere l’area del
proprio consenso a settori dell’opinione pubblica diversi da quelli già
precedentemente convinti. Non è un caso che nell’arena della discussione
pubblica la Destra politica risulti ormai da anni quasi sempre
subalterna (innanzi tutto lessicalmente: si pensi a Berlusconi che non
trova di meglio che dire di temere, in caso di vittoria del Sì al
referendum, «una deriva autoritaria»!).
Ma per la verità di tutto
ciò la Destra politica è responsabile solo parzialmente. Essa infatti
sconta l’assenza nel nostro Paese di quella cultura conservatrice di
ispirazione liberal-cristiana che nell’ambito di un regime democratico
oggi è l’unica in grado di alimentare una visione delle cose, e quindi
anche prospettive e scelte politiche, diverse e in qualche modo
alternative rispetto a quelle fatte proprie dalla cultura progressista
d’ispirazione scientifico-razionalista. Cioè dalla cultura che ha
dominato fin dall’inizio la vita intellettuale e il mainstream
dell’opinione della Repubblica, avendo potuto fruire della massiccia
vittoria che le consegnava nel ’45 la modernizzazione fascista.
È
così accaduto che, priva in generale di un adeguato retroterra di
riflessioni sulla situazione dell’epoca e sulle condizioni del Paese, la
Destra politica italiana sia andata consumando le proprie vittorie —
ottenute solo grazie a un elettorato in maggioranza ostile alla Sinistra
— in un velleitario affastellamento programmatico e pratico. Dove ha
prevalso di volta in volta l’intonazione individual-liberista o il
riflesso corporativo-protezionista, dove spunti di sapore clericale si
sono alternati a simpatie libertario-libertine, dove la piatta fedeltà
all’Occidente e all’Europa si è mischiata a ambizioni filorusse,
filoarabe e a quant’altro potevano suggerire gli antichi sogni
nazionalistici. Senza contare, poi, che ognuno di questi orientamenti
troppo spesso non è mai riuscito ad andare oltre la frase roboante, la
recriminazione pretestuosa o il proposito esibito e non mantenuto.
A
un dipresso le cose sono andate fino ad oggi così. Solo che oggi è
arrivato un signore chiamato Matteo Renzi, e il profilo della Sinistra è
radicalmente cambiato. Forse, se vuole avere ancora qualcosa da dire,
sarebbe ora che lo facesse anche la Destra.