Corriere 23.10.16
Separate (soltanto) dallo 0,1% del Pil Così Roma e la Ue sfiorano la rottura
Contestato soprattutto l’aumento di spese per «eventi eccezionali», dai migranti al terremoto
di Federico Fubini
In
apparenza è una disputa attorno a 1,6 miliardi di euro, un valore pari
allo 0,1% del reddito dell’Italia (Pil). Ma basta scavare solo un po’
nei rapporti fra il governo italiano e la Commissione Ue, per rendersi
conto che dietro quella divergenza apparentemente trascurabile ci sono
fattori che la rendono difficile da ricomporre: opinioni profondamente
diverse sulla qualità di misure di bilancio, sulla dinamica di fondo del
deficit e del debito, sulla tenuta di lungo periodo della terza
economia dell’area euro, ma anche una buona dose di orgoglio politico da
entrambe le parti.
Non doveva andare così, viste le premesse dei
giorni precedenti al varo della legge di Stabilità. Fra Roma e Bruxelles
si erano susseguiti i contatti per discutere del livello di deficit che
l’Italia avrebbe indicato come obiettivo per l’anno prossimo. Un
dialogo del genere sarebbe stato normale in qualunque circostanza, ma
dopo la tregua raggiunta fra Roma e Bruxelles nella primavera scorsa
appariva obbligato. In precedenza, c’erano state le tirate di Matteo
Renzi contro i «burocrati di Bruxelles» e quella del presidente della
Commissione Jean-Claude Juncker, che contrattaccò nel gennaio scorso:
«Il presidente del Consiglio italiano smetta di offendere e di pensare
che sono un ingenuo — disse —. Non lo sono».
Seguì una
coreografica riconciliazione a Roma a fine febbraio e l’impegno,
sottoscritto a maggio dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, a
mantenere il deficit del 2017 entro l’1,8% del Pil per evitare una
procedura europea. Poi tutto è tornato in discussione, come si capirà
dalla lettera con richiesta destinata ad atterrare sul tavolo di Padoan —
salvo sorprese — già domani. Quel documento conterrà probabilmente
soprattutto domande, non una richiesta immediata di correggere i conti
appena presentati, ma saranno domande precise. La Commissione vuole
sapere soprattutto perché l’Italia non si è attenuta ai patti di maggio
scorso, che prevedevano solo 1,6 miliardi (0,1% del Pil) di spese per i
cosiddetti «eventi eccezionali» come l’ondata migratoria o le esigenze
della difesa seguite agli attentati a Parigi e a Bruxelles. Nella legge
di Stabilità varata otto giorni fa, il governo ha infatti allargato un
po’ la sua lista di spese per «eventi eccezionali»: adesso calcola circa
cinque miliardi (0,3% del Pil) legati agli sbarchi dall’Africa e alla
risposta al terremoto di due mesi fa, includendo anche opere per
catastrofi di anni passati all’Aquila o a Reggio Emilia e interventi
apparentemente ordinari nelle scuole nel Paese. Questo fa sì che il
deficit «strutturale» — cioè al netto degli effetti transitori — non
cali neanche nel 2017.
La risposta dell’Italia sarà prevedibile
quanto la lettera della Commissione. Il governo farà valere che lo
stesso vertice europeo di pochi giorni fa riconosce che i Paesi in prima
linea sugli sbarchi devono far fronte a un onere finanziario
particolare. Quindi ricorderà che nessuno poteva prevedere prima il
costo del terremoto di Amatrice.
Può sembrare incredibile che
ruoti attorno a minuzie del genere il confronto in Europa su un Paese
che dal 1996 cresce in media dello 0,46% l’anno, ha il debito più alto
dopo la Grecia, tiene al lavoro appena il 56% della manodopera e
presenta un volume di crediti deteriorati nelle banche pari quasi a un
quarto del reddito nazionale. Eppure nei giorni in cui il governo
preparava la legge di Stabilità, la discussione con la Commissione Ue si
era concentrata esattamente su questo: da Roma si avvertiva che
l’obiettivo di deficit nel 2017 sarebbe stato del 2,3% e non più
dell’1,8% (come concordato in maggio), a causa della minore crescita e
delle nuove spese per «eventi eccezionali»; da Bruxelles si pregava il
governo di attenersi al massimo al 2,2%, classificando più rigorosamente
soprattutto i costi di ricostruzione dopo il terremoto.
Ma il
tono così apparentemente triviale del confronto nasconde una tensione in
profondità. Nella Commissione Ue è palpabile il disagio di fronte a un
Paese considerato fragile, che continua a rimettere in discussione ogni
pochi mesi gli accordi presi e presenta misure — dalle pensioni, alle
sanatorie fiscali — che rischiano di complicare i problemi invece di
risolverli. L’irrigidimento di questi giorni a Bruxelles è la reazione
di un’istituzione che si sente sfidata da un interlocutore percepito
come inaffidabile.
A Roma è invece evidente la frustrazione per
l’approccio di Bruxelles, visto come miope e puramente contabile.
Nessuna delle due parti oggi vuole cedere terreno. Così quello 0,1% del
Pil che separa Roma e Bruxelles somiglia sempre di più a una nuova linea
di faglia nell’area euro. Prima che qualcuno, in qualche modo, ci getti
sopra l’ennesimo precario ponticello .