sabato 22 ottobre 2016

Corriere 22.10.16
Berlusconi, quei segnali dai due Pd
di Francesco Verderami

Berlusconi era l’ossessione del Pd, ora è l’oggetto del desiderio dei due Pd, che se lo contendono come alleato esterno contro il nemico interno, che gli mandano messaggi pubblici e lusinghe riservate, che lo esortano a non credere e a non cedere alle promesse Perché mentre tutti i partiti sono impegnati nel Paese con la campagna referendaria, nel Palazzo tutti continuano a discutere solo di legge elettorale, sapendo che è quello il cuore della trattativa e il nodo del contendere. È per avere Berlusconi dalla propria parte al referendum che Renzi ha formato la commissione del Pd sulla modifica dell’Italicum. È per avere Berlusconi dalla propria parte il 4 dicembre, che Bersani e D’Alema stanno lavorando per far fallire la mediazione sull’Italicum, proponendone un’altra al vecchio nemico, «più vantaggiosa» rispetto a quella del loro nuovo nemico.
Gli uomini del Cavaliere, senza sosta, portano doni al capo sotto forma di ambasciate. Dagli accampamenti democratici in lotta si inviano segnali diversi, e sembrano tutte offerte allettanti. Gianni Letta riferisce le intenzioni di Palazzo Chigi, che è pronto a discutere le richieste di cambiamento al modello di voto: c’è il premio di maggioranza da assegnare alla coalizione e non più alla lista, c’è la trasformazione delle preferenze in collegi, e forse si potrebbe discutere anche sul ballottaggio. «A patto che si faccia in fretta», secondo il Gran ciambellano di Berlusconi.
Per contrastare quel pezzo di Pd, l’altro Pd ricorda al Cavaliere i tempi in cui volle ascoltare le sirene e rammenta il naufragio di cui poi fu vittima. È un martellamento da call center, non c’è telefono di dirigente del centrodestra che venga risparmiato dal messaggio. «Mi ha chiamato D’Alema», ha raccontato a Berlusconi un Parisi per metà stupefatto, per l’altra divertito: «Mi dava del lei... Mi ha chiesto di dirti di non andare dietro le fregnacce di Renzi. Che devi mobilitare i tuoi elettori, perché vadano tutti a votare No al referendum».
Così come ci sono due fronti democratici, ci sono anche due fronti berlusconiani. Brunetta non passa giorno senza dar voce a quanti sono contrari alla trattativa con il premier. Al gruppo si è aggiunto pubblicamente l’ex ministro delle Riforme Quagliariello, che insieme a D’Alema è parte attiva nel Comitato per il No: «Il centrodestra resti indisponibile alla trattativa sulla riforma elettorale finché il popolo non si sarà espresso sul referendum costituzionale». Tali sono le tensioni, che insieme al Pd rischia di spaccarsi anche Forza Italia, dove Salvini mira a conquistare adepti alla causa: «Tra gli amici di Berlusconi c’è qualcuno nostalgico dell’inciucio».
E Berlusconi pur di mostrarsi il leader di una coalizione che non c’è più (come non c’è più il Pd) ieri si è esposto di nuovo contro le riforme, rispolverando uno slogan d’altri tempi, sostenendo che se vincesse il Sì, ci sarebbe «il rischio di dar vita a una dittatura di sinistra», edizione aggiornata rispetto al pericolo comunista, visto il pedigree di Renzi. Per giustificare la posizione, il Cavaliere ha sottolineato che è per colpa del premier se il referendum ha assunto valenza politica, «per sua scelta è anche un voto sul governo. E il nostro voto sul governo non può che essere negativo».
La strada è presa, sebbene il fondatore del centrodestra continui ad arrovellarsi sugli scenari futuri, e nelle discussioni riservate — lontano dai clientes — ascolta con attenzione le obiezioni. Gianni Letta (e non solo lui) gli ha spiegato infatti che se vincesse il Sì e non ci fosse un’intesa preventiva, sarebbe poi difficile trattare con Renzi sulla legge elettorale. Non c’è l’incombenza del voto anticipato, nemmeno Berlusconi lo pensa: semmai il leader del Pd potrebbe non fare concessioni a Forza Italia.
Nel caso vincesse il No, il timore è che la situazione politica vada fuori controllo, con Salvini pronto a intestarsi la vittoria e prendere il sopravvento. Magari annunciando di essere favorevole al mantenimento del premio di maggioranza alla lista, che per Berlusconi è una camicia di forza della quale liberarsi. Una linea portata avanti da Parisi, citato (non a caso) durante la direzione del Pd da Franceschini.
Nessuno capì al momento la ragione di quel passaggio fatto dal ministro democratico, che è favorevole a destinare il premio di maggioranza alla coalizione, e che nel suo intervento definì «interessante il tentativo» affidato dal Cavaliere all’ex manager: «È un bene che ci sia spazio per una parte moderata nella destra. Perché, se vincesse il No, a farla da padroni sarebbero Grillo e Salvini». Chiaro no? È la storia che si ripete: quella di un eterno (e oggi doppio) Nazareno.