Corriere 22.10.16
la battaglia difficile tra ragione e fanatismo
Il
film «Lo studente» del russo Kirill Serebrennikov non si limita a
mettere in scena la guerra psicologica e ideologica tra un giovane in
preda a un delirio religioso e la sua insegnante Mostra il multiforme
ruolo della fede: da strumento di potere
a difesa culturale che comunque esclude. Una lezione attuale
di Carlo Rovelli
H
o visto un film che mi ha colpito, perché tocca temi attuali e profondi
e fa riflettere. È Lo studente del regista russo Kirill Serebrennikov. È
stato presentato quest’anno a Cannes dove ha vinto il premio François
Calais e in Italia esce con il titolo Parola di Dio . La storia è tratta
da un testo teatrale dello scrittore tedesco Marius von Mayenburg.
Racconta di un ragazzo, Venja, con problemi emotivi che lo spingono nel
delirio religioso. Venja prende la Bibbia come insegnamento, e sulla
base di questa diventa sempre più fanatico. Un’insegnante della sua
scuola, razionalista e atea, cerca maldestramente di combattere questa
deriva, ma finisce per istigarlo e provocare reazioni sempre più forti.
Il finale, che non anticipo per non rovinare la visione del film ai
lettori, è inquietante e scava nel nostro mondo.
Il titolo
italiano viene dalle precise ed eloquenti citazioni della Bibbia che fa
insistentemente Venja, brandite con il fanatismo che i nostri media
gongolano nell’attribuire agli islamisti radicali. Come questi, ma anche
come terroristi cristiani e di altre religioni che abbiamo visto nel
mondo, il ragazzo è pronto a tutto per i suoi ideali. Il film scava
nella sua psicologia: il percorso che va dalla violenza delle prime
reazioni sessuali, il rapporto con una madre in difficoltà esistenziale,
le frustrazioni dell’adolescenza, verso una rivolta sempre più feroce e
fuori luogo. Seguirlo entrare in questa spirale ci aiuta forse un poco a
capire la ribellione che nutre i tanti giovani pronti alla morte, ieri
come oggi, per deliri che possiamo condividere o no.
L’insegnante
predica la ragione, con passione e candore. I suoi motivi sono sinceri,
ma genera e nutre reazioni di difesa. È esasperata, desidera molto
aiutare il ragazzo, ne intraveda le difficoltà, ma insiste stolidamente a
testa bassa solo sul suo razionalismo, che la porta in difficoltà.
Ma
il lato più penetrante e amaro del film non è la guerra ideologica e
psicologica, o meglio la danza umana e pericolosa, fra i due
protagonisti. È l’osservazione del mondo attorno a loro: superficiale o
confuso quanto, se non più che il ragazzo stesso, si muove fra
ipocrisia, conformismo, paura, rabbia repressa, cattiveria o soddisfatta
gestione di spazio di potere, offrendo un quadro amaro e crudo del
marcio del mondo. Lo scontro dei due protagonisti fa emergere
l’ipocrisia del potere ecclesiastico, il razzismo diffuso, celato ma
crudele, espresso come antisemitismo, la stupidità della gioventù. Resta
un personaggio amaramente umano in questa desolazione. L’ultimo, offeso
da tutti, perfino dal film stesso che ne fa l’agnello sacrificale per
risparmiare la bella eroina.
Ad animare la storia è il multiforme
ruolo della religione: brandita come una clava da Venja, usata dagli uni
per il potere, dagli altri come difesa culturale, da molti come
identità per poter escludere.
Siamo nel mondo di oggi, dove non
solo in nome della religione si uccide, ma anche dove Vladimir Putin
della religione (ortodossa) si serve sempre più pesantemente come
strumento di potere e per questo ha reso l’insegnamento religioso
obbligatorio in tutte le scuole statali. Siamo nel mondo dove il
Vaticano aggredisce la libertà di insegnamento sulle relazioni personali
nelle scuole, e dove esistono autorità scolastiche che, come nel film,
cercano di non permettere che i giovani imparino a scuola le scoperte di
Darwin e colleghi. Nel mondo dove giovanissimi ragazzi e ragazze
partono per combattere in Siria, come quanti partirono per combattere il
generale Franco in Spagna, egualmente pronti alla morte. Siamo nel
mondo in cui invece di sentire il dolore di tutti gli esseri umani, ci
identifichiamo nuovamente per religioni, come nei periodi più torvi del
passato.
Andate a vedere questo film; non è a senso unico, il suo
pensiero critico è a tutto tondo, compreso verso l’insegnante. Fa
riflettere. In Italia forse più che altrove, perché le sue ambiguità ci
toccano da vicino. La nuova Russia reazionaria e bigotta dipinta con
sarcasmo da Serebrennikov somiglia all’Italia in maniera inquietante.
La
vicenda è ambientata in una cittadina ex sovietica apparentemente
anonima. Ma è un luogo tutt’altro che insignificante. Oggi si chiama
Kaliningrad. È una città russa, in una piccola enclave russa isolata fra
Polonia e Lituania. In passato si chiamava Königsberg, ed era città
della Prussia: è il luogo dove Immanuel Kant è nato, è vissuto ed è
sepolto. È il luogo dove l’Illuminismo, la Ragione, hanno trovato una
delle vette più celebrate e belle. Aprendo una speranza di
ragionevolezza per l’umanità di cui oggi, nonostante lo sforzo generoso
di tanti, nel nostro Paese non meno che altrove, non sembra che vedere
che un lento e doloroso tramonto. Questa è il triste apologo del film.
Spero tanto si sbagli.