sabato 1 ottobre 2016

Corriere 1.10.16
In 600 per fare il bilancio
L’assessore al Bilancio è arrivato, il suo esercito ha il condottiero. E che esercito. La ragioneria occupa circa 600 persone
di Sergio Rizzo

Gli uccelli del malaugurio sono sistemati: l’assessore è arrivato e il bilancio del Comune di Roma si farà. Niente esercizio provvisorio, niente commissario. Perfino il dimissionario ragioniere generale Stefano Fermante, che per 100 giorni non aveva mai avuto il piacere di vedere la sindaca Virginia Raggi, rassicurato alfine dall’apparire di quell’indirizzo politico la cui assenza aveva lamentato, ci ha ripensato. Così il suo esercito ha nuovamente il condottiero.
E che esercito. La Ragioneria del Campidoglio occupa circa 600 persone. Più o meno quante ce ne sono al Segretariato generale (che però è senza segretario). Una marea: ciò che non manca qui sono i posti di lavoro.
Ma come ovunque il tema non è tanto il numero delle persone, quanto la qualità del prodotto. Il che spiega l’origine di quei 250 milioni di debiti fuori bilancio con cui l’assessore dovrà fare i conti.
Racconta l’ex responsabile comunale della legalità Alfonso Sabella nel libro Capitale infetta scritto con Giampiero Calapà di aver ricevuto un giorno da un capo dipartimento la seguente domanda: «Ma assesso’, la gara a evidenza pubblica va pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale?». Per concludere che «evidentemente» quell’altissimo dirigente «non aveva mai avviato una gara aperta». Accadeva nemmeno due anni fa. Dice tutto, questo episodio.
Quella massa enorme di debiti fuori bilancio esiste soprattutto perché, a dispetto delle decisioni, le gare non si fanno. Spesso inspiegabilmente gli uffici non riescono a bandirle e si va avanti con le proroghe. L’hanno denunciato già gli ispettori del ministero dell’Economia, e l’ha confermato il presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone. Va da sé che se questo problema non si risolve nessun bilancio credibile si potrà fare perché nessun piano di rientro potrà mai funzionare. E siamo al punto.
Prima di venir messo nelle condizioni di dimettersi, l’assessore Marcello Minenna aveva raddrizzato i conti. Ben sapendo che il problema era ben lungi dall’essere risolto. Sarebbe stata necessaria un’attenzione costante a tutti gli aspetti del bilancio, tanto la faccenda era (ed è) delicata. Ma per un mese nessuno ha mosso un dito. Né qualcuno ha pensato all’assestamento di bilancio di settembre, che secondo Minenna sarebbe stato decisivo. Perché sui conti di Roma incombe ancora un piano di rientro da 440 milioni che nei fatti non è mai decollato come avrebbe dovuto. Peggio: i debiti fuori bilancio, che al momento del piano erano 70 milioni, si sono più che triplicati.
Facciamo un passo indietro. Ignazio Marino eredita una situazione contabile allo sbando. A giugno 2013 non c’è nemmeno il bilancio di previsione del 2013. E oltre ai debiti accumulati dalla precedente gestione dopo che nel 2008 il bilancio era stato completamente ripulito, salta fuori che c’è un disavanzo strutturale di 550 milioni. Ci sarebbe da chiedersi cosa abbia fatto per evitarlo la Corte dei conti, tanto solerte nel bacchettare tutte le amministrazioni comunali, ma tant’è. Lo Stato se ne fa carico per 110 milioni, ma tamponare gli altri 440 tocca al Campidoglio. Ecco allora un piano di rientro, triennale, per arrivare al 2016 azzerando quel disavanzo. Si devono risparmiare 205 milioni sulle partecipate: non solo razionalizzando i costi di Atac e Ama, bensì vendendo le cose inutili, come le farmacie comunali (le uniche del pianeta in perdita) e la compagnia assicurativa (la sola al mondo di proprietà comunale). Altri 328 milioni si dovrebbero risparmiare sulle forniture di beni e servizi, per riversare un po’ di risorse in altri settori deficitari. Senza dire del salario accessorio pagato indebitamente per anni ai dipendenti comunali: 350 milioni dal 2008, che il Campidoglio dovrebbe pian piano recuperare.
Inutile dire che quel piano sta annaspando, a causa in primo luogo delle resistenze della macchina. Intanto c’è una bomba a orologeria di cui nessuno si cura come dovrebbe: l’Atac, azienda i cui libri sono pericolosamente vicini alla porta del Tribunale. Nella speranza di fermare il timer Minenna aveva studiato con l’ex direttore Marco Rettighieri un progetto per la gestione economica del grande patrimonio immobiliare della società. Usciti di scena entrambi, si è arenato. E le lancette vanno avanti, inesorabili.
Vedremo ora se e come quel piano di rientro procederà. Ma se è irresponsabile chi osa pronunciare la parola «dissesto», non è da meno chi finora ha preso la situazione sottogamba.