sabato 1 ottobre 2016

Corriere 1.10.16
La «resistenza» del partito
di Marco Imarisio

Beppe Grillo ha usato la parola «resistenza» per 19 volte a Palermo: un tic? No, un collante per il ritorno al «noi contro tutti».

L a parola più usata dagli oratori che si sono alternati sul palco palermitano della terza edizione di Italia 5 Stelle è stata «resistenza». Alcuni studenti dell’università di Palermo hanno persino fatto i conti. Beppe Grillo l’ha usata per 19 volte in due giorni. E non si trattava certo di un tic verbale. Non più «onestà, onestà», non solo almeno. Come ha notato Carlo Freccero su Il Fatto quotidiano, il collegamento finale con Julian Assange non aveva solo una mera funzione coreografica, ma sigillava questa piccola svolta lessicale. Il fondatore di Wikileaks è ormai considerato l’icona di una resistenza moderna, vera o presunta, al potere costituito. L’introduzione nell’immaginario pentastellato di una generica forma di resistenza non è una semplice reazione alle vicissitudini romane e alle lacerazioni che hanno prodotto all’interno di M5S, quanto piuttosto una sua conseguenza. Nelle intenzioni di chi l’ha pronunciata, quella parola nobile dovrebbe avere anche virtù terapeutiche. Serve a lenire le ferite, rappresenta il collante per il ritorno a una dimensione «noi contro tutti». Siccome nel mondo M5S i messaggi che arrivano da Genova vengono recepiti con una certa velocità, per i meet up votare No al referendum diventa «un atto di resistenza democratica», mentre degli inviti alla resistenza rivolti negli ultimi giorni a Virginia Raggi si è perso il conto. Il debutto più o meno ufficiale del nuovo mantra a cinque stelle è avvenuto durante il consueto raduno annuale che rappresenta da sempre il momento «privato» del Movimento. Un appello rivolto ai fedelissimi, a quello che una volta si chiamava zoccolo duro. È una scelta ben calcolata che vuole ottenere un serrate le file del tutto legittimo. Il ricorso a quel vocabolo contiene in sé anche un alibi gentilmente offerto a chi ci vuole credere. Ci attaccano perché ci opponiamo a «loro», fatichiamo a governare Roma perché resistiamo. E così la resistenza trasforma critiche e fallimenti in medaglie, diventa un espediente verbale che assolve ogni peccato al proprio interno nel nome di un comune nemico esterno, una parola d’ordine che tutto perdona e giustifica. Anche il fatto che ci sono voluti appena cento giorni per nominare un assessore al Bilancio. Ma è solo un esempio.