Corriere 16.10.16
Nello scontro sul referendum è in gioco la convivenza civile
di Marco Cianca
Un
vociare insolente. Sì, no. No, sì. Tu progetti di diventare un
dittatore. Voi volete sfasciare tutto. Ci porti nel baratro. Bisogna
andare avanti. Ti sfrattiamo da Palazzo Chigi. Aspirate solo a spartirvi
il potere. Avventurista. Passatisti. Il dibattito sul referendum
costituzionale è assordante. Nuntereggae più, cantava Rino Gaetano.
Italia
divisa, Pd diviso, incertezza diffusa. Toni da guerra di religione, ha
scritto il direttore del Corriere , Luciano Fontana. Simone Weil
accusava: «I partiti politici sono organismi pubblicamente,
ufficialmente costituiti in maniera tale da uccidere nelle anime il
senso di verità e di giustizia» ( Manifesto per la soppressione dei
partiti politici , Castelvecchi). Ecco: dove sono verità e giustizia? La
passione e la propaganda oscurano la ragione. Si vuole attirare il voto
dalla propria parte, e la menzogna perde persino coscienza di se
stessa.
Si litiga, non si discute. I confronti televisivi sono
tragicomici, per lo più incomprensibili, repulsivi. Di certo non fanno
mutare idea, semmai alimentano antipatie e simpatie senza chiarire i
motivi reali del contendere.
Non ci sono luoghi di dibattito. Case
della cultura, case del popolo, circoli, sezioni, persino le osterie.
Tutto scomparso (Giuseppe Sircana, Nel cuore rosso di Roma , Ediesse).
Oggi dove si discute, in maniera aspra e animata ma guardandosi negli
occhi e opponendo ragionamento a ragionamento? Con i compulsivi e
autoreferenziali messaggi scambiati sulle piattaforme social? Ascoltando
un politico imbonitore che cerca di sovrastare con la voce il suo
avversario? Computer, televisioni, cornacchie gracchianti.
Giorgio
Amendola e Ugo La Malfa duellarono a lungo sull’intervento
straordinario per il Mezzogiorno, contrario il primo, propugnatore il
secondo (Giovanni Russo, Partito d’azione: storia, pensiero e attualità ,
Le Monnier). Chi ha ereditato quello stile e quella capacità
argomentativa? O tempora, o mores, direbbe Cicerone.
Che fare?
Votare sì, votare no, non votare? Povero Amleto, anche lui andrebbe in
crisi. In che situazione ci hanno messi. Il 4 dicembre si farà la conta.
Favorevoli e contrari. Tanti da una parte, tanti dall’altra. E sul
terreno svilito della democrazia possono allignare di nuovo concezioni
come quelle di Carl Schmitt, sostenitore del nazismo e teorico della
politica come distinzione tra amici e nemici, il quale ironizzava. «Le
masse entrano in questi recinti preparati in precedenza e i dati
statistici di questi fatti si chiamano “elezioni”» (György Lukács, La
distruzione della ragione , Einaudi). Gli elettori contati come pecore,
vince il pastore che riesce ad attirarne di più.
Sentori di
xenofobia, di razzismo, di stalinismo, di totalitarismo. Voglia di
uomini forti, denti digrignati, la violenza come mezzo espressivo, la
pace non più come valore assoluto, la guerra come possibile. I fautori
dell’intolleranza si aggirano per il mondo. E l’Italia non è immune dal
contagio. Lo scontro sulle modifiche alla Carta rischia di alimentare il
fuoco che cova sotto la cenere e riaffiora la tentazione di una resa
dei conti che non ci ha mai abbandonato dalla nascita della Repubblica.
Certo, la ferocia della campagna per le presidenziali negli Stati Uniti
fa apparire come delle educande anche Renato Brunetta e Matteo Salvini
ma le grida che arrivano soprattutto dal fronte del no sono foriere di
tempesta. E Beppe Grillo, quando invita a votare con la pancia, dovrebbe
rileggere Wilhelm Reich e la sua «Psicologia di massa del fascismo».
Siamo
una delle democrazie più giovani e questa magnifica conquista che ci
rende tutti liberi e uguali andrebbe tutelata con cura. E invece le
accuse che si scambiano i due fronti stanno seppellendo sotto una
valanga di contumelie sfrontate e senza remore il tenero virgulto della
convivenza civile. Apprendisti stregoni evocano forze che poi rischiano
di non essere in grado di controllare. Desiderio di rivincita da una
parte, voglia di stravincere dall’altra. Senza mediazioni. Un’ordalia di
tale intensità che, se è lecito scherzare, verrebbe da dire: scegliamo
un campione del sì e uno del no, un duello, il vincitore trionfa.
Perlomeno sarebbe un risparmio di tempo e di denaro.
Votiamo sì,
votiamo no, non votiamo. Ognuno farà la propria scelta. Ma senza mai
perdere il rispetto per chi non la pensa come noi e senza dimenticare la
gioia della democrazia. Un appello in questo senso dei tanti comitati
che si stanno formando sarebbe il benvenuto. Guido Crainz nella Storia
della Repubblica (Donzelli) ricorda che alla vigilia del 2 giugno 1946,
Mario Borsa, in quel tempo direttore del Corriere della Sera, ammonì con
uno «splendido» editoriale: «Paura di che? Del famoso salto nel buio?
Lo credano i nostri lettori: il buio non è né nella Repubblica né nella
Monarchia. Il buio purtroppo è in noi, nella nostra ignoranza, o
indifferenza, nelle nostre incertezze, nei nostri egoismi di classe e
nelle nostre passioni di parte». Il sorriso di chi partecipò a quelle
prime libere elezioni sia il faro che illumina il buio di questi mesi.