giovedì 13 ottobre 2016

Corriere 13.10.16
I giovani (ancora) trascurati
di Sergio Rizzo

Ormai da mesi, se si esclude il referendum di dicembre, le pensioni sono tornate a occupare il pensiero della politica. L’opinione pubblica è stata bombardata prima da messaggi sulla possibilità per certe categorie di lasciare il lavoro in anticipo, ricorrendo alla singolare stampella del prestito bancario, poi dalla proposta di aumentare del 30 per cento la quattordicesima alle pensioni sotto i mille euro. Per settimane è stato il tema più dibattuto sui giornali e in televisione.
Sono problemi tragicamente reali. I pensionati italiani, almeno nella media delle statistiche, non sono nababbi. E c’è chi (giustamente) ritiene che prolungare troppo l’età pensionabile rappresenti un tappo per i giovani, in un Paese nel quale il tasso di disoccupazione di chi ha meno di 30 anni tocca il 40 per cento, con punte letteralmente mostruose nelle regioni meridionali. Anche se pensare di risolvere così questa faccenda anziché creando nuovo lavoro pare una strategia piuttosto di retroguardia. E per l’ex ministra del Lavoro, Elsa Fornero, autrice della più controversa riforma pensionistica, quello sulla quattordicesima altro non è che «un intervento per aumentare il consenso».
Da che in Italia esiste la democrazia questa è sempre stata la scelta obbligata. Di fronte alla necessità di ottenere consenso si attinge sempre al serbatoio più capiente. E siccome i pensionati meno abbienti sono sei milioni, il triplo dei giovani disoccupati, e a differenza di questi vanno ancora a votare...
Silvio Berlusconi ha vinto la campagna elettorale del 2001 anche promettendo di aumentare le pensioni minime a un milione di lire al mese. E il 20 dicembre scorso ha annunciato che se dovesse rivincere le prossime elezioni, le porterebbe a mille euro al mese. Ma pure governi di centrosinistra non si sono sottratti a tentazioni simili: l’Unione di Prodi demolì lo «scalone» per le pensioni di anzianità introdotto da Maroni, con un impatto micidiale sui conti pubblici. Ecco anche perché le riforme più dure sono state fatte da governi tecnici (Dini e Monti) o da esecutivi alle prese con problemi finanziari drammatici (Amato). Mentre non c’è governo che abbia affrontato seriamente il problema generazionale. Renzi ha buon gioco a dire che nessuno ha fatto per i giovani quanto lui. Magari è anche vero. Ma ciò la dice lunga su quanto non sia stato fatto in passato.
Dal 1990 all’inizio del 2012, quando il governo Monti è intervenuto con decisione sulla dinamica previdenziale, la spesa per il capitolo «Protezione sociale» costituito soprattutto dalle pensioni, è salita di 118 miliardi con una crescita reale del 58,1%. Al tempo stesso l’investimento pubblico nell’istruzione scendeva di 2,8 miliardi in termini reali, con un calo del 3,4%. Se il peso della «Protezione sociale» lievitava dal 30,2 al 40,4% della spesa pubblica, quello dell’istruzione diminuiva dal 10,1 all’8,3%. Per ogni euro investito nel 2011 in istruzione ne spendevamo quasi 5 per quella voce, contro meno di 3 vent’anni prima.
Certo, in quel periodo la popolazione è invecchiata, i bisogni sanitari e di sostentamento delle fasce più deboli si sono incrementati e la crisi del 2008 ha fatto il resto. Ma il succo è che per almeno due decenni il Paese ha investito negli anziani e privato di risorse i giovani. Mostrando una clamorosa incapacità di guardare al futuro. E si è radicato nel mondo delle professioni come in quello accademico un clima ostile ai giovani estranei ai meccanismi di cooptazione corporativa o familiare. Il presidente dell’Anticorruzione Cantone è subissato dalle segnalazioni di concorsi universitari truccati: un fenomeno devastante che contribuisce a impoverire l’Italia spingendo i ragazzi più bravi e meritevoli a scappare all’estero.
Renzi dice che «bisogna fare molto di più». Ha ragione, se è vero che il Jobs act ha finito per favorire gli anziani più dei giovani. Quanto al bonus da 500 euro ai diciottenni, quella è una discreta mancia. Che forse però poteva essere investita meglio. Bisogna fare molto di più, eccome. Ma si dovrebbe rimettere al centro della discussione pubblica il futuro, piuttosto che il passato. E il fatto che l’ossessione della quattordicesima ai pensionati continui a sovrastare anche nella narrazione dei media l’attenzione per i problemi drammatici delle giovani generazioni, a partire dal lavoro e dall’università, dimostra purtroppo quanto siamo ancora lontani dal cambiare registro. Speriamo solo che quando ci decideremo a farlo non sia troppo tardi .