Corriere 13.10.16
Il nazismo secondo Heidegger «Hitler risveglia il nostro popolo»
Il filosofo aveva letto «Mein Kampf» e apprezzava l’istinto politico del Führer
di Donatella Di Cesare
Lieber
Fritz , «Caro Fritz, sembra che la Germania si risvegli, che comprenda
il suo destino. Desidero che tu legga il libro di Hitler, che è debole
negli iniziali capitoli autobiografici. Nessuno può ormai contestare che
quest’uomo possieda, e abbia sempre posseduto, un sicuro istinto
politico, quando noi tutti eravamo ancora obnubilati. Il movimento
nazionalsocialista si arricchirà, in futuro, di nuove ulteriori forze.
Non si tratta più di meschina politica di partito — ne va piuttosto
della salvezza o del tramonto dell’Europa e della cultura occidentale».
Questa
lettera del 18 dicembre 1931 fa parte del carteggio tra Martin
Heidegger e il fratello minore Fritz, che esce il 17 ottobre in Germania
dalla casa editrice Herder. Il volume, curato da Walter Homolka e
Arnulf Heidegger, contiene anche una raccolta cospicua di interventi
firmati da filosofi, scrittori, intellettuali sul tema
dell’antisemitismo. Il carteggio, che occupa più di cento pagine, è la
grande novità editoriale che farà certamente discutere.
Le lettere
vanno dal 1930 al 1949 — un periodo decisivo per la Germania, per
Heidegger, per il suo pensiero. Anche se il carteggio non è completo (si
può però leggere il resto nell’Archivio di Marbach), la pubblicazione
ha grande rilievo perché, dopo i Quaderni neri , diviene accessibile
un’altra significativa fonte che può far luce sull’impegno politico di
Heidegger.
Oltre a offrire uno spaccato della vita privata, le
lettere fanno emergere lo stretto rapporto tra i due fratelli, che si
rivela un forte sodalizio intellettuale. Sorprende la figura di Fritz,
del quale si sapeva poco: soltanto che era rimasto sempre a Messkirch,
il villaggio natìo, che una balbuzie gli aveva impedito di proseguire
gli studi, che ciò aveva paradossalmente acuito il suo senso per la
lingua, al punto che si era fatto una certa fama per i giochi di parole e
le arguzie. Il ritratto del saggio giullare, che di mestiere faceva,
suo malgrado, l’impiegato di banca, viene corretto dal carteggio.
Fritz
Heidegger appare una figura di primo piano. A lui Martin affida i
manoscritti delle sue opere, affinché vengano riletti, rivisti,
ricopiati e messi al sicuro. Fritz ammira il fratello, ne segue con
orgoglio il successo, lo difende. È il suo migliore amico. Già Hannah
Arendt aveva scritto: «L’unica persona che ha realmente è il fratello».
Ma Fritz è anche un interlocutore nei temi filosofi e politici.
L’ulteriore
grande sorpresa del carteggio sta nell’importanza che riveste Hitler.
Fin qui non si sapeva se Heidegger lo avesse letto e molti negavano. Ora
è chiaro che dal 1931 al 1933 Hitler diventa addirittura tema di
dibattito tra i due fratelli. Fritz si mostra poco convinto. Resta
perplesso quando Martin gli spedisce in regalo Mein Kampf ; ma promette
che lo leggerà. Gli confessa tuttavia il suo «disgusto» per la politica
volgare, l’esigenza di giudicare autonomamente gli eventi. I fratelli
concordano, però, nel considerare ineluttabile la fine della Repubblica
di Weimar e della socialdemocrazia. Solo che Fritz vede nel tracollo
finanziario della Germania, oberata dai debiti, l’occasione colta dal
nazionalismo di Hitler. La sua analisi politica è più prudente. Martin
invece insiste; gli spedisce lo scritto propagandistico di Beumenburg La
Germania in catene e gli consiglia la lettura del romanzo di Hans Grimm
Popolo senza spazio . E commenta: «Chi non lo sa, può imparare qui che
cosa vuol dire patria per il nostro popolo». Di fronte alle «inibizioni»
del fratello verso il nazismo, Martin prende una posizione netta. Nel
1932 afferma che, nonostante tutti gli errori, «occorre essere dalla
parte dei nazisti e di Hitler. Ti manderò il suo nuovo discorso».
La
novità delle lettere sta proprio nella fermezza che Heidegger mostra. E
in una adesione che appare incondizionata. Divenuto rettore a Friburgo,
racconta in una lettera del 4 maggio del 1933: «Sono entrato ieri nel
partito, non solo per intima convinzione (…). In questo momento è
necessario pensare non tanto a se stessi, quanto al destino del popolo
tedesco». E rivolto al fratello: «Se non ti sei ancora deciso, vorrei
che ti preparassi interiormente per fare il tuo ingresso».
Negli
anni successivi affiorano le delusioni e le amarezze di Heidegger. Più
cauto, più pacato, Fritz guarda gli eventi con una certa distanza. Nel
luglio del 1941 giudica «problematica» la vittoria tedesca, mentre
qualche mese dopo Martin calcola la distanza dell’esercito da Mosca:
«Solo 30 chilometri!».
Quando l’isolamento politico, filosofico,
soprattutto umano, tormenta e angustia il filosofo, Fritz gli resta
accanto. Lo sostiene; legge i suoi scritti. «Ho iniziato a studiare la
Storia dell’essere , frase per frase». Si capisce perché Heidegger vada
spesso a Messkirch e, quando è lontano, spedisce al fratello una lettera
dopo l’altra. Ricorda la loro infanzia, apprezza quel forte legame
fraterno, parla delle loro passeggiate lungo il sentiero di campagna.
A
lui si rivolge nel febbraio del 1946 da Badenweiler, vicino Friburgo,
dove è ricoverato nella clinica psichiatrica. Non è chiaro che cosa lo
«spirito del mondo» intenda fare dei tedeschi, né perché voglia
servirsi, per i suoi disegni, degli americani. Lieber Fritz — gli scrive
— «nell’epoca della spaesatezza», in cui nessuno più è a casa, nel
tempo della «piattezza planetaria», resta la possibilità di una dimora.
Per lui è quel rapporto con il fratello. «La dimora resta, Fritz; siamo
noi a rifondarla».