mercoledì 12 ottobre 2016

Corriere 12.10.11
La conta nella minoranza svela un’altra minoranza: in dodici per la riforma
di Alessandro Trocino

ROMA Miguel Gotor dice che «servirebbe un miracolo». Aggiunge, senza troppa convinzione: «D’altronde siamo tutti credenti». Ma la mistica del referendum è solo un modo per esorcizzare una mutilazione che si sente prossima. E che porta la sinistra del Pd a immaginarsi diversa, se non divisa. Il punto, però, è capire quanto pesi davvero la sinistra del No e quanto rappresenti il Paese che andrà alle urne il 4 dicembre, per confermare o meno la riforma costituzionale.
I numeri veri, naturalmente, si sapranno il 5 dicembre. Ma già ora è guerra di posizione, con sondaggi usati come arma contundente dalle due parti. La maggioranza sventola analisi del voto dove risulta che gli elettori del Pd stanno con il Sì almeno all’83%, come da sondaggio di Nando Pagnoncelli di qualche giorno fa. Per Antonio Funiciello, braccio destro di Luca Lotti, sono anche di più: «Siamo intorno al 90%». Non la pensano così quelli della minoranza. Gotor parla del «20-25%» dei No tra gli elettori del Pd. E Roberto Speranza si spinge fino al 30. Dati che arruolano però anche i «non so».
Prendiamo il sondaggio di Ixe (Weber) per Agorà : tra gli elettori del Pd i Sì sono al 73%, i No al 16, i «non saprei» all’11. Mettendoli insieme, con beneficio d’inventario, si arriva al 27%. Gotor parla di «quasi 2 milioni di elettori». Ma i calcoli son complicati. Perché gli indecisi sono molti e le appartenenze contano fino a un certo punto. È vero che per il No si schierano apparati come l’Anpi e la Cgil. Ma è anche vero che pure nella minoranza del Pd c’è una quota che voterà Sì. Secondo i calcoli della sinistra pd, alla Camera su circa 35 esponenti delle aree di Roberto Speranza e Gianni Cuperlo, saranno circa 25 quelli che voteranno No. Più compatta la delegazione del No al Senato dove, su una ventina, probabilmente solo un paio diranno Sì, Erica D’Adda e Lodovico Sonego. Per il Sì anche un bersaniano doc come il giovane deputato Enzo Lattuca: «Non è un sacrilegio. Anche Bersani, che si definisce moderatamente bersaniano, non considererà traditore chi si esprime diversamente».
Renzi sospetta che il No al referendum sia una prova generale di scissione. E in direzione ha fatto una battuta: «Hanno perfino pronto il logo», riferendosi ai comitati «democratici per il No». Stefano Di Traglia, animatore del comitato e portavoce di Bersani, nega: «Ma no, quel logo muore il 5 dicembre. E poi non sarebbe un bell’inizio per un partito, cominciare con un No nel logo».
Per ora, però, siamo ufficialmente ancora alla trattativa. E alla commissione sull’Italicum proposta da Renzi. Come dice Gotor, «le commissioni in Italia si fanno quando non si vuole fare niente». E Speranza lo dice apertamente: «A noi pare una perdita di tempo». Ma a parte lo scarsissimo ottimismo, la minoranza andrà con un suo rappresentante. Tra gli altri, ci saranno il vicesegretario Lorenzo Guerini in qualità di coordinatore, i due capigruppo Ettore Rosato e Luigi Zanda, e il presidente Matteo Orfini.
C’è chi però sta già lavorando in un’altra direzione. È Massimo D’Alema che, assente alla direzione, sta girando l’Italia in un tour per il No. Oggi alle 16, insieme a Gaetano Quagliariello, partecipa a un’iniziativa promossa a Roma dalle loro rispettive fondazioni, Italianieuropei e Magna Carta. Dove non si limita ad esporre le ragioni del No, ma presenta un disegno di legge costituzionale bipartisan e alternativo alla riforma che prevede la riduzione dei parlamentari e la loro elezione a suffragio diretto.