Corriere 12.10.16
«Quesito incompleto Così si chiede un plebiscito»
di Dino Martirano
ROMA
«Con un quesito così eterogeneo non si rispetta la libertà di voto
degli elettori». Il presidente emerito della Consulta Valerio Onida
sintetizza così il motivo che lo ha spinto a rivolgersi al Tribunale
civile di Milano (e con un altro ricorso al Tar del Lazio) per rimettere
alla Corte costituzionale la questione di legittimità del quesito
referendario.
Perché l’elettore potrebbe essere ingannato dal quesito?
«Non
tanto ingannato dal quesito, ma leso nella sua libertà di voto per non
potersi esprimere in modo diverso sui diversi aspetti eterogenei della
riforma. Lo stesso titolo della legge non cita molti punti della legge
di revisione costituzionale: l’elezione del presidente della Repubblica,
l’approvazione a data certa dei ddl governativi, il controllo
preventivo di costituzionalità della legge elettorale, la disciplina del
referendum».
Quale sarebbe il vizio di una legge che tocca 47 articoli della Carta?
«Quello
di voler fare una “grande riforma” mentre lo spirito del 138 è la
revisione puntuale di singoli aspetti della Costituzione, della sua
“manutenzione”. Non del suo cambiamento complessivo, quasi che
occorresse una “nuova Costituzione”. Solo Berlusconi, finora, ha
tentato, senza fortuna, la strada della “grande riforma”».
Lo «spacchettamento» del quesito sarebbe servito?
«Sarebbe
necessario, data l’eterogeneità del contenuto della legge. Ma nessuno
dei soggetti che hanno chiesto il referendum lo ha proposto. Solo i
radicali ci hanno provato, senza però ottenere il consenso dei soggetti
legittimati».
Cosa succede ora se il tribunale rimette il giudizio alla Consulta?
«Si
chiede di estendere anche al referendum costituzionale quello che essa
affermò chiaramente, nella sentenza 16/1978, a proposito del referendum
abrogativo: cioè che è inammissibile un quesito referendario eterogeneo,
che trasforma il referendum in un plebiscito su un programma politico».