venerdì 14 ottobre 2016

il 22/23 ottobre RomaLa Stampa 14.10.16
Paolo Conte in pausa dalle parole
“Il mio primo disco di sola musica”
Esce “Amazing Grace”, il cantautore: “I brani giacevano nei cassetti Ne avevo un buon ricordo, c’è improvvisazione ma priva di jazz”
A sorpresa Il cantautore astigiano Paolo Conte al pianoforte Nell’album «Amazing Grace» si trovano varie ispirazioni: da Nino Rota alle musiche del Settecento
di Marinella Venegoni


Il genio enigmatico che affidò gli inizi di cantautore al «brutto tinello marron» e al «son caduto dalla nave son caduto/mentre a bordo c’era il ballo», per arrivare poi a livelli rarefatti di raffinatezze, si prende una pausa sorprendente e debutta con un disco strumentale, Amazing Grace, che esce oggi in tutto il mondo con la Decca.
È, per spiegarci, una collezione di musica da camera contianamente intesa, nel suo libero eclettismo densa di riferimenti classici ma anche un po’ free (appunto la libertà espressiva alla Ornette Coleman di FFFF), con le più varie ispirazioni: evoca Nino Rota Pomeriggio Zenzero che apre le danze, e capita nel corso dell’ascolto di pensare al Settecento, o per Zinia a un adagio di Bach, mentre c’è un unico e piacevole pezzo cantato (ma dalle aggraziatissime sorelle Brevv) che non a caso è quello che più richiama il suo repertorio classico e s’intitola Changes All in You Arms. Un’esperienza inconsueta, che ti toglie dalla prevedibilità dei protocolli dei dischi, ti apre la mente.
«Roba che avevo tenuto nel cassetto e della quale avevo un buon ricordo», racconta Paolo Conte che ha il grave compito di spiegare come si tratti di una tantum, e stiamo tutti tranquilli dunque, non cambia nulla. Spesso sono cose scritte per altre occasioni e già servite o anche no: dodici commissionate dalla Regione Liguria per il centenario della nascita di Montale, cinque per una pièce teatrale mai andata in scena. Il finale di Sirat Al Bunduqiyyah era scritto per la piéce teatrale Corto Maltese e - come spiega lo stesso Conte - «significa “Fiaba di Venezia”, tema che mi sembra abbastanza riuscito, con Venezia ancora con la sua misteriosissima essenza e lontano qualche colore mediorientale».
È accaduto molte volte. Paolo Conte ti spiazza con la sua imprevedibilità, ti mette al muro con l’inatteso, ti costringe a riflettere ma poi ti pacifica con le sue certezze tetragone e senz’altro confortanti. La visione della vita, gli ancoraggi: «Il mio gusto e stile sono sempre novecentisti. Qui c’è improvvisazione moderna ma priva di jazz», precisa confondendo le nostre orecchie. Ha ben presenti i mali contemporanei: «Da 30 e più anni, si usa in musica leggera il gioco pesante delle percussioni, mi sono chiesto che cosa può essere una musica vista da un batterista sensibile, trafitto da melodie e armonie. Questo può far capire la modalità leggera delle nostre orchestrazioni».
Non parliamo del silenzio, come terreno espressivo: «È sempre stato una bellissima strategia, i napoletani dell’epoca d’oro lo chiamavano silenzio cantatore». Da abbracciare, la sua memoria.
L’album ha titoli stravaganti, En Bleu Marine o Zama: «Zama mi suonava bene, ma non c’entra con Annibale». Però niente retropensieri, niente fine di un’epoca: «Non vorrei che venisse fuori che ho abdicato alle canzoni. Qui si tratta di esecuzioni suonate molto bene, con un bel suono, e le ho lasciate come le avevo fatte».
Si scende nella cronaca pulsante e imprescindibile. Che cosa pensa del Nobel a Bob Dylan? «D’accordissimo. L’apertura c’era già stata con Dario Fo, mi congratulo». Però, però: «Trovo che fra i ‘70 e gli ‘80 ci sia stato un dispendio letterario dei nostri cantautori, e il Nobel lo meriterebbero gli italiani per lo sforzo che è stato fatto». Touché, Stoccolma: anche quando dice di non vedere propri eredi, pur avendo avuto migliaia di maestri. Ma su chi è stato il più grande, non ha dubbi: «Enzo Jannacci».
Grande curiosità per il Novecentista che da 15 anni si trova a vivere nel Terzo Millennio: «Artisticamente, non sento differenza con il ‘900. I graffitari già c’erano, c’è una presenza troppo forte del contenuto rispetto alla forma, che non si rinnova neanche in pittura. C’è troppa voglia di comunicare, mi dà un po’ fastidio, è una limitazione della libertà». L’8 gennaio prossimo, scoccano gli 80 anni... «Teniamo duro, cerchiamo di reggere e suonare qualcosa. Andiamo in tour, ma senza questo disco».
Il tour: 22/23 ottobre Roma, 29 Brescia, 11/12 Arcimboldi, 12 Regio di Torino, 12/12 febbraio Parigi, 25 Amburgo.