venerdì 14 ottobre 2016

La Stampa 14.10.16
Nicola Lagioia: nel mio Salone vedrete l’Italia dei giovani
Lo scrittore premio Strega nominato direttore della kermesse torinese: “È il luogo delle opportunità La sfida con Milano? C’è spazio per entrambi”
intervista di Emanuela Minucci


Nicola Lagioia, se l’aspettava?
«Una cosa è certa: mai nella vita avrei pensato che sarebbe toccato a me».
Com’è successo?
«Tutto in pochissimo tempo. Massimo Bray mi ha contattato qualche giorno fa. Gli ho chiesto 48 ore, il tempo minimo per decidere qualcosa che ti cambia la vita».
Si è consultato con qualcuno?
«Con mia moglie. Dovevo chiederle se era d’accordo a vedermi molto poco, visto che avrei dovuto passare la maggioranza del tempo a Torino. È stata lei a spingermi ad accettare».
L’elemento decisivo per dire sì?
«La grandezza e il significato del Salone di Torino e il mio personale rapporto con questo evento a cui devo, se non tutto, moltissimo. Qui hai la possibilità di conoscere i giganti del pensiero mondiale».
Il suo primo ricordo del Salone?
«Ero solo uno studente quando presi un treno da Bari e arrivai al Lingotto per mostrare le bozze del mio primo libro. Al Lingotto trovai il mio primo datore di lavoro, Castelvecchi, e poi il mio primo editore, Minimum Fax. Le stesse cose che ho visto succedere nel tempo ai ragazzi delle generazioni successive».
Come vuole trasferire questo «personale rapporto» nel Salone 2017?
«Voglio che resti ciò che è sempre stato: il luogo delle opportunità. Ci pensavo prima di accettare: l’anno scorso fui invitato per intervistare il premio Nobel per la Pace Shirin Ebadi e Marilynne Robinson. L’ultimo che aveva avuto il privilegio questa scrittrice era stato Barack Obama. Al Lingotto da sempre si è fatta la storia dell’editoria italiana. E poi attorno al Salone c’è la città».
C’è un unicum torinese?
«Io la guardo umilmente da fuori, Torino. E l’idea di essere adottato mi riempie di gioia. È fra le città che ha più puntato sulla cultura: dai musei alla scuola Holden, da Artissima alla scena musicale dei Murazzi. Un patrimonio di cui nessuna persona che ama seriamente i libri potrebbe pensare di disperdere nemmeno un grammo. Per questo ho deciso. La sfida è riuscire a dialogare con tutta la città».
Torino però è anche la città di Einaudi, il suo editore, che ha scelto Milano.
«Einaudi ci sarà al Salone di Torino. Non è pensabile che non partecipi. Partecipare non significa solo uno stand per vendere libri, ma portare autori, inventarsi cose insieme, immaginare incontri di alto profilo. Scommetto in questo dialogo».
Come ha vissuto lo strappo con gli editori e la diatriba con Milano?
«Quando sui giornali leggevo la parola “scippo” non ero d’accordo. Perché il Salone del Libro non è scippabile: è uno solo e resta a Torino nelle sue date storiche, a maggio».
Ma senza i grandi editori. Come riempirà questo vuoto?
«Intanto ci sono tanti editori motivatissimi a scegliere il Lingotto, da Sandro Ferri ad Antonio Sellerio. E poi c’è un grande lavoro che ci aspetta da oggi».
Ma in Italia c’è spazio per due eventi sul libro a meno di 150 chilometri e un mese di distanza?
«Se funzionano, non vedo perché no».
Che tipo di Salone ha in mente? Rottura o continuità?
«Intanto devo capire meglio che budget avremo, ma cercheremo di fare di più e meglio di prima. Il Salone sarà un posto dove incontrare editori e autori. È questa la sua magia: anche se i libri sono un’esperienza solitaria, l’esaltazione massima si ottiene parlandone con chi li scrive, li stampa e li vende».
Che tipo di direttore sarà? Ha già in mente una squadra?
«Datemi tempo. Quanto a me, sono armato di buona volontà e non tirerò cazzotti a nessuno, anzi tenderò la mano a tutti. Anche agli editori che vogliono andare a Milano».
Come?
«Magari convincendoli che si può partecipare a entrambi gli eventi».
Bray e la notte della Taranta, Lagioia e la Puglia lussureggiante e feroce: che cosa porterete di quei mondi al Salone?
«Uno scrittore ha molti padri ma una sola lingua. La Puglia è dentro di noi, è un’idea di cultura inclusiva e partecipativa, ma andare a Torino è fare qualcosa per tutto il Paese. I libri saranno ponti che abbatteranno muri».
Un sogno per il suo Salone?
«Girando le librerie indipendenti del Paese, ho incontrato un ragazzo che subito dopo la laurea in Medicina ha deciso di aprire una libreria. Ecco, vorrei un Salone che rappresentasse l’Italia di questi ragazzi. Con un cielo bellissimo sopra Torino».