Avvenire 21.10.16
Il teologo Cozzoli: «Chi nega l’aborto lo fa sempre per salvare una vita»
intervista di Paolo Viana
«Il
fascicolo d’inchiesta è stato attivato, come atto dovuto, dopo la
denuncia dei familiari della donna che nella loro ricostruzione dei
fatti parlano di un medico che si sarebbe rifiutato di estrarre i due
feti, quando sono entrati in crisi respiratoria, perché obiettore di
coscienza...» Per 24 ore, questa è stata la spiegazione data dalle
agenzie di stampa per la morte di Valentina Milluzzo e dei suoi due
gemelli, all’ospedale Cannizzaro di Catania. Ieri mattina si è scoperto
che l’obiezione di coscienza non c’entrava nulla. In Italia c’è aria di
caccia all’obiettore? Per prima cosa voglio esprimere il massimo
rispetto per il dolore della famiglia Milluzzo – risponde monsignor
Mauro Cozzoli, ordinario di bioetica alla Pontificia Università
Lateranense – e il desiderio che sia fatta luce sulla causa di questa
tragedia, perché amare la vita significa fare di tutto per salvarla.
Questa è la posizione dei cattolici e anche dei medici obiettori, che
una campagna culturale e mediatica ha trasformato in un bersaglio
facile, inducendo nel Paese un’opinione purtroppo diffusa che, quando si
verifica una tragedia, ci “deve essere” lo zampino di un obiettore di
coscienza. Lo dimostra la tendenza alla denuncia terapeutica,
specialmente di fronte ad esiti infausti che compromettano giovani vite,
e il focalizzarsi nella ricerca di obiettori di coscienza sui quali
buttare la croce.
Con quale obiettivo?
Non so se sia l’obiettivo
di chi denuncia, ma è un fatto che allorquando il caso di malasanità ha
risvolti bioetici, in quanto chiama in causa la Chiesa e i suoi fedeli,
sia maggiore l’attenzione dei media. Non credo che si “cerchi”
quest’attenzione, ma una famiglia sconvolta dal dolore è facile preda di
un teorema che, conducendo in fretta ad un capro espiatorio, sembra
risolvere tutto, alleviando quel dolore. Al di sotto, lavora un
pregiudizio sociale.
L’obiezione di coscienza è impopolare?
Non piace all’establishment culturale di questo Paese.
E a quello sanitario?
Spero
che non vi sia un pregiudizio verso i medici obiettori e che siano
valutati in base alla loro professionalità, come prescrivono le leggi, e
la Costituzione.
La legge 194 dice che l’obiezione di coscienza
non può essere invocata nel caso in cui il «personale intervento» del
sanitario è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente
pericolo. Era il caso di Valentina Milluzzo?
Così pare.
Ovviamente abbiamo una conoscenza parziale dei fatti, ma possiamo certo
dire che, se il medico obiettore di coscienza dell’ospedale Cannizzaro
non si fosse adoperato per soccorrerla, quel medico sarebbe colpevole di
omissione di cura, in quanto non si sarebbe tratta- to di interrompere
una gravidanza ma di prestare un soccorso terapeutico. In tal caso,
l’obiezione di coscienza non c’entra nulla: si trattava di un atto
curativo, sottrarsi al quale era moralmente riprovevole, tanto più in
situazione di grave emergenza. Ma le cose non sembrano essere andate in
questo modo. Da quanto dichiarato dal direttore generale dell’ospedale e
dai primi esami sulla cartella clinica analizzati dalla Procura di
Catania, non risulta che il medico si sia dichiarato obiettore di
coscienza e che si sia per questo rifiutato. È accertato che i due feti
sono nati morti: il loro aborto è stato involontario e perciò moralmente
irrilevante. Come precisa il direttore generale, nel caso di Valentina è
intervenuto uno choc settico e la situazione è precipitata. Il che
discolpa il medico obiettore, se è effettivamente intervenuto ponendo in
atto tutte le cure del caso, nonostante le quali prima i feti e poi la
donna sono deceduti.
Cerchiamo di essere ancora più chiari: se una
partoriente rischia la vita, un medico obiettore di coscienza può o non
può praticare un’interruzione di gravidanza?
Il medico obiettore
deve curare quella donna con l’obiettivo di salvarla. Non può
utilizzare l’aborto né come fine delle cure né come mezzo, ma se
l’aborto è una conseguenza delle cure, che si ritengono indispensabili e
indilazionabili per salvare quella donna, non c’è obiezione che tenga.
Deve praticare quelle terapie, anche se sa che porteranno alla morte del
feto. La differenza è sottile, ma c’è e non a caso esistono i comitati
di bioetica per valutare tutti i casi possibili. Il discrimine è tra
aborto volontario e diretto da un lato – che non è accettabile e che
l’obiettore non pratica – e aborto involontario e indiretto, che non è
sanzionabile sul piano dell’etica cristiana.