A Roma, organizzato dalla Fondazione Basso e dalla Scuola per la
buona politica di Torino ieri al Capranichetta, giuristi,
costituzionalisti, esperti di diritto e filosofi della politica
il manifesto 16.10.16
Una carta d’identità di valori comuni «che Renzi vuol fare saltare»
Referendum costituzionale. Costituzionalisti e giuristi, una giornata di riflessione sulle ragioni del No
Rodotà:
la convivenza è basata sui principi comuni. La riforma è divisiva. E
dal 5 dicembre ciascuno potrebbe dire ’la mia Costituzione’»
Carlassare: la maggioranza-minoranza pigliatutto? La legge Truffa non si spinse così avanti
Pace: modifica illegittima, eversione costituzionale fatta da un parlamento che doveva dimettersi
di Daniela Preziosi
ROMA
La Costituzione è un «terreno comune», il luogo in cui «soggetti
diversi si confrontano e trovano le opportunità per la convivenza sulla
base di principi comuni». E invece la riforma Renzi-Boschi, «divisiva
nel merito e nel metodo con cui è stata votata» «mette a rischio proprio
questo terreno comune. Per questo dal 5 dicembre potrà succedere che
ciascuno dica ’la mia Costituzione’». L’allarme di Stefano Rodotà è di
quelli impegnativi per un giurista.
Usa parole pesanti e lo fa
davanti e insieme a un plotoncino di giuristi, costituzionalisti,
esperti di diritto e filosofi della politica chiamati a Roma, alla sala
Capranichetta, a confrontare le ragioni del No al referendum. Organizza
la Scuola per la buona politica di Torino e la Fondazione Basso
presieduta da Elena Paciotti, già presidente Anm (associazione nazionale
magistrati) ed ex eurodeputata. «Non era successo niente di simile
neanche durante il dibattito della Costituente, quando i comunisti e i
socialisti furono esclusi dal governo ma i lavori proseguirono con la
stessa logica del confronto», continua Rodotà. Non che le differenze di
opinione in campo di principi costituzionali non siano previste,
naturalmente.
Il dibattito della Costituente ne è formidabile
testimonianza. Ma la logica seguita dal governo Renzi – una modifica
costituzionale promossa dal governo è già un controsenso perché le
Costituzioni hanno una funzione «contromaggioritaria», ricorda Paciotti,
e cioè «di limitare l’accentramento del potere politico, separare i
poteri pubblici, controllare quelli privati, garantire i diritti
fondamentali dei cittadini e delle minoranze» – la logica di Renzi
insomma «è quella di far prevalere il proprio punto di vista indebolendo
le garanzie», spiega Lorenza Carlassare. In varie maniere, tanto più in
combinato con l’Italicum (che è legge dello stato e anche con tutte gli
auguri per la sua modifica al momento non può essere ignorata):
«Indebolendo la rappresentanza delle minoranze, indebolendo le garanzie
nell’elezione del presidente della Repubblica», attribuendo un premio di
maggioranza a una minoranza, «cosa che non si permise di fare nel ’53
neanche Alcide De Gasperi» con la famosa legge Scelba detta ’legge
truffa’ (il cui premio non scattò appunto perché nessuno raggiunse la
maggioranza). Nella giornata «di riflessione» si parla anche di
«tirannia della maggioranza» (Michelangelo Bovero), di
«verticalizzazione del potere verso la figura del premier (Carlassare e
altri), del confuso e confusivo nuovo bicameralismo e dell’improbabile
rappresentanza territoriale affidata al nuovo senato (Mauro Volpi,
Francesco Pallante, Valentina Pazé). Ma il filo rosso è per tutti l’idea
di una Carta come «terreno comune» o, come dice Luigi Ferrajoli,
«precondizione condivisa per il vivere civile», «patto di convivenza in
cui tutti si riconoscono» sostituita – se vincesse il Sì – dall’idea
esattamente opposta «del chi vince prende tutto, e chi vince non è
neanche la maggioranza ma la maggiore minoranza». «Il rischio è
altissimo», misura le parole un altro costituzionalista, Gaetano
Azzariti: «Perdere un bene inestimabile, un valore supremo, quello che
nel ’48 rappresentò una carta d’identità per un’Italia che usciva divisa
e lacerata dalla guerra e dal Ventennio».
Rischio respinto da uno
dei due discussant del Sì invitati al dibattito, Cesare Pinelli, che
invita a non drammatizzare i toni e a ricordare che nel 2005 dopo la
battaglia per il No al referendum sulla riforma Berlusconi «non ci siamo
così divisi, oggi sta a tutti riuscire a conservare le ragioni dello
stare insieme dopo il 4 dicembre». Ma nel 2005 era difficile trovare un
costituzionalista a favore del pasticciaccio del Cavaliere. Lo stesso
Pinelli rivendica di aver militato per il No all’epoca. Oggi è diverso, e
questo stupisce soprattutto ora che anche dal partito di governo viene
rivendicata la derivazione della modifica Renzi-Boschi da quella
berlusconiana, ormai senza più disagio.
Se vincerà il No la
riforma «così lontana dal costituzionalismo» sarà archiviata e con essa
la stagione politica di cui è figlia. Anche se, avverte Azzariti, da
quel No bisognerà ripartire per porre rimedio alla «crisi del
parlamentarismo» e quella «della rappresentanza e dei rappresentati,
bisognerà rimediare al lungo regresso che questa riforma vorrebbe
costituzionalizzare».
Se invece vincerà il Sì, invece. quello dei
fautori della maggioranza che è una minoranza «piglia tutto», la
situazione sarà invece molto delicata. Da questa sala rullano tamburi:
«La modifica è illegittima, anzi è eversione costituzionale», dice il
professore Alessandro Pace, «una violazione di inaudita gravità»
prodotta da «una legislatura drogata» dal premio di maggioranza
attribuito dal Porcellum, «indegna di affrontare la revisione
costituzionale».
Anche Pace usa parole pesanti. Non solo le sue,
cita anche quelle del deputato a 5 stelle Vito Crimi: «La revisione è un
azzardo costituzionale». O quelle assai più autorevoli del
costituzionalista Giuseppe Ugo Rescigno all’indomani della sentenza
della Consulta numero 1 del 2014 che dichiarò incostituzionale quel
premio di maggioranza: «Mi stupisco che milioni di cittadini non siano
scesi in strada per esigere l’immediato scioglimento di un parlamento
illegittimo».