Repubblica Salute 13.9.16
Autismo
Nello sguardo del neonato
Gli
 occhi rivolti lontano, verso visi storti o immagini disumane Possono 
essere un campanello. Anche a pochi mesi. Lo dimostra uno studio che 
indaga come scoprire precocemente sintomi sospetti. E non abbassare la 
guardia
di Elena Dusi
LA DIFFERENZA È IN uno 
sguardo. Un bimbo a rischio di autismo guarda il mondo con occhi diversi
 fin dai primi giorni di vita. Medici e ricercatori stanno cercando di 
imparare questa grammatica visiva per anticipare una diagnosi che 
attualmente avviene tardi: a circa tre anni. I geni considerati 
responsabili di questa malattia, invece, appaiono molto attivi già prima
 della nascita, come ha confermato a luglio uno studio su Nature. E 
indagarli permette di capire come si sviluppa la malattia precocemente. 
«La diagnosi tardiva è uno dei problemi della malattia», commenta 
Giorgio Vallortigara, neuroscienziato dell’università di Trento, 
coautore di una ricerca pubblicata a maggio da Scientific Reports che si
 è avvalsa della collaborazione del Nida, Network italiano per il 
riconoscimento precoce dei disturbi dello spettro autistico.
Normalmente
 il neonato vede assai poco. Ma i suoi occhi (come quelli di tutti i 
cuccioli) sono attirati da volti umani od oggetti che si muovono come 
gli esseri viventi. «Il fatto che questo comportamento si verifichi fin 
dalle prime ore di vita – spiega il neuroscienziato – suggerisce che sia
 governato da una parte antica del cervello, più profonda rispetto alla 
corteccia cerebrale». Nei due mesi successivi il meccanismo si 
trasferisce in aree più superficiali e recenti, quelle della corteccia 
cerebrale. «La nostra ipotesi – spiega Vallortigara – è che nell’autismo
 i meccanismi subcorticali non funzionino correttamente e che, con un 
effetto a cascata, i meccanismi corticali non vengano nutriti 
correttamente dagli stimoli sottostanti, finendo col soffrire a loro 
volta». Per provarlo Vallortigara ha esaminato 34 neonati di 6-10 
giorni, messi davanti a uno schermo che mostrava alternativamente visi 
dritti e capovolti, sguardi diretti e occhi rivolti di lato, movimenti 
artificiali o casuali e movimenti di origine animale. Una telecamera 
intanto riprendeva la direzione degli sguardi dei neonati. La metà dei 
piccoli studiati aveva un fratello o una sorella malati (quindi era 
maggiormente esposta al rischio di sviluppare sintomi autistici) e tra 
di loro le percentuali di occhi rivolti verso visi storti, sguardi 
lontani e movimenti di origine artificiale erano significativamente 
superiori. «Il test è molto semplice. Può essere portato a casa dei 
bambini e ci piacerebbe vederlo in uso comunemente - commenta il 
professore di Trento - perché scoprire la malattia in anticipo permette 
di stimolare il cervello quando è ancora al massimo della sua 
plasticità. Le terapie comportamentali precoci e mirate si sono 
dimostrate efficaci».
Le piste seguite attualmente per studiare 
l’origine di questa misteriosa malattia sono molte. Un’idea è che una 
risposta immunitaria carente provochi i difetti dei circuiti nervosi che
 sono alla base dell’autismo. In vari studi recenti sui topi, un aumento
 dei linfociti è riuscito a migliorare i sintomi.
C’è poi 
l’ipotesi che chiama in causa il microbioma. L’osservazione che molti 
bambini autistici soffrono di disturbi intestinali (dalla stipsi alla 
colite) ha portato infatti una corrente di studi a cercare la causa 
della malattia in uno squilibrio fra le specie di batteri che vivono 
nell’intestino. Verso questa direzione punta anche l’osservazione che le
 madri obese hanno un rischio del 50% superiore di generare figli 
autistici. Poiché l’apparato digerente ha legami stretti con il cervello
 (tutta la regolazione dell’appetito avviene attraverso un dialogo fra 
pancia e testa) e l’assenza di particolari microrganismi nell’intestino 
favorisce l’infiammazione dei tessuti circostanti, è stato ipotizzato 
che fra disturbi digestivi e autismo il nesso sia più stretto di quanto 
non si immagini. Per questo alcuni esperimenti (l’ultimo pubblicato su 
Cell a giugno) hanno cercato di ripopolare la pancia con una specie di 
batteri considerata benefica, e i sintomi della malattia sono 
migliorati. Ma ancora una volta si è trattato di test sui topi.
Per il momento la strada più concreta per aiutare un bambino autistico resta quella di guardarlo negli occhi.