Repubblica 13.9.16
Ultrà uccise profugo “Può andare a casa” E la città si divide
Il gip: sì ai domiciliari ma manca il braccialetto elettronico
La moglie: lui sarà scarcerato, io costretta a lasciare Fermo
di Giuliano Foschini
GLI
hanno disegnato i fiori sulla lapide, in un angolo del cimitero, perché
tanto sanno che nessuno andrà a trovarlo. Chinery, sua moglie, che
pianse cantando tanto da far commuovere l’Italia, è stata trasferita in
un’altra città, in un’altra regione, perché «ero rimasta sola», dice, e
poi perché visto quello che stava accadendo tutto attorno era meglio
così. Di Emmanuel Chidi Nnamdi, il giovane nigeriano ammazzato con un
pugno il 6 luglio scorso a Fermo perché aveva osato reagire a un insulto
razzista alla compagna ( «scimmia africana») non si ricorda già più
nessuno. «Siamo rimasti soli» racconta don Vinicio, il padre della
comunità di Capodarco che li accoglieva. Soli perché la città, o
comunque gran parte di essa, ha deciso da che parte stare: con Amedeo
Mancini, l’ultras che ha ammazzato Emmanuel.
La curva ha cantato
prima della partita, domenica scorsa, ricordandolo come «vittima», anzi
come «eroe». Sui social ci sono tre gruppi e centinaia di messaggi di
vicinanza a Mancini. E lo stesso sindaco, Paolo Calcinaro, ammette: «Non
penso nulla di male contro Emmanuel, ma sicuramente la città si è
schierata con Amedeo ». Amedeo Mancini da poche ore potrebbe tornare a
casa. Il gip del tribunale di Fermo ha infatti disposto per lui gli
arresti domiciliari condizionati però all’uso del braccialetto
elettronico. «Non c’è stata quindi un’attenuazione della misura» tiene a
specificare la Procura. La precisazione non è di forma ma di sostanza.
Perché, spente le luci, attorno al caso di Fermo si è gonfiata una
bolla. La moglie di Emmanuel aveva raccontato del pestaggio subito da
suo marito, dopo aver ricevuto l’insulto. Una versione che la Procura
sin dal decreto di fermo, 24 ore dopo l’omicidio, aveva bollato come
falsa. C’era stato sì l’insulto razzista, dicevano i magistrati, ma
Emmanuel per primo aveva reagito prendendo un segnale stradale e
colpendo Mancini per poi andare via. L’ultras si era poi rialzato e
aveva colpito con un pugno il profugo nigeriano, per poi forse infierire
quando era a terra. Dai primi risultati dell’autopsia, sembrerebbe
infatti che oltre alla mandibola fratturata Emmanuel avrebbe avuto un
ginocchio rotto. L’accusa, in ogni caso, è di omicidio
preterintenzionale con l’aggravante razziale. Un’impostazione che ha
retto davanti al gip e al tribunale del Riesame che, infatti, hanno
lasciato in carcere Mancini. Vincolando ora i domiciliari al
braccialetto elettronico: fin quando non sarà disponibile, Mancini dovrà
restare in carcere.
«Fermo, che si era sentita messa sotto
accusa, ora prende le difese del suo concittadino. Senza però chiedersi:
perché quell’insulto? » spiega il sindaco. «L’Italia non difende gli
italiani!» scrivono su Facebook i ragazzi di Forza Nuova e gli ultras di
Fermo che hanno lanciato una serie di campagne per Mancini, ottenendo
grande seguito in città. « Se solo potessi tornare indietro, piuttosto
mi morderei labbra e lingua pur di non pronunciare quella stupida frase —
ha scritto Mancini in una lettera pubblicata sui giornali locali — Ma
non mi ha lasciato via di uscita. Quando lui mi ha colpito con il
segnale stradale ho visto la morte in faccia». Una ricostruzione, la
sua, che però non è la stessa della Procura.
«Siamo alla tutela
della tribù» dice don Vinicio che qualche giorno fa ha incontrato
Mancini in carcere. «Sono finito sotto accusa per aver raccontato la
verità: che Emmanuel è morto in Italia, dove cercava di essere felice,
dopo aver visto l’orrore. È sopravvissuto all’orrore ma non a noi. E ora
tutti si sono dimenticati di lui. Purtroppo avviene così: molta
misericordia per i propri e giustizia e severità per gli esterni». Per
la morte di Emmanuel arrivarono le istituzioni, e centinaia di messaggi
da tutta Italia, pieni di sdegno e promesse. Due mesi dopo Chinery è
andata via. Ed Emmanuel, il cui corpo doveva rientrare in Nigeria, così
come volevano i suoi cari, è ancora qui. Bloccato per motivi
burocratici. Dietro una lapide con i fiori dipinti, perché nessuno,
fuori dalla comunità di Capodarco, vuole portargli quelli veri.