Repubblica 30.9.16
I migranti di Bratislava
di Massimo Riva
FITTA
l’agenda del vertice Ue che si apre venerdì a Bratislava. Fra i nodi da
sciogliere è lecito aspettarsi parole chiare almeno in tema di dopo
Brexit e di migranti, mentre è pacifico che il confronto tra i
copernicani degli investimenti e i tolemaici dell’austerità continuerà
ancora per un pezzo. Quanto ai negoziati con Londra non c’è gran che da
dire al momento sul merito, molto invece sul metodo. Si tratta, in
particolare, di bloccare l’insinuante tentativo del governo inglese di
risolvere i problemi attraverso intese bilaterali con i singoli Stati.
Occorre quindi un saldo e leale impegno comune a far sì che siano le
istituzioni comunitarie a gestire le conseguenze dell’addio britannico.
Altrimenti si consentirebbe a Londra di poter continuare anche da fuori
quell’opera di disgregazione dell’Unione che ha perseguito per anni
dall’interno.
Questioni di metodo e di sostanza vanno, invece,
affrontate insieme in tema di migranti. E Bratislava sembra proprio il
luogo giusto dato che si tratta della capitale della Slovacchia, paese
che con Polonia, Cechia e Ungheria costituisce il “Quartetto di
Visegrad”, alfiere dell’opposizione più radicale alla redistribuzione
dei profughi fra tutti i paesi dell’Unione. Sia Bruxelles sia importanti
capitali hanno tollerato finora senza colpo ferire questa cinica
ribellione ad ogni elementare regola di mutualità comunitaria. Si è così
assistito all’impunito orrore del ritorno in Europa ai muri e ai
reticolati di filo spinato, mentre in Ungheria si terrà a breve un
referendum col deliberato fine di ottenere l’avallo popolare alla
chiusura ermetica dei confini.
Sul fronte del no ai migranti si è
appena salutato con soddisfazione lo schiaffo subìto da Angela Merkel
nel suo collegio elettorale proprio a causa della sua politica di
accoglienza verso i profughi. Le speranze di una svolta in materia al
vertice di Bratislava appaiono perciò appese soprattutto alla sagacia
della cancelliera nel cogliere le vere ragioni della sua sconfitta nelle
urne. Che essa dica di voler continuare sulla strada delle porte aperte
è segno di coerenza politica, ma non basta. Il passaggio cruciale sta
nel capire che la linea dell’imbelle condiscendenza dell’Unione verso
chi negli altri paesi sbarrava porte e finestre non poteva e non può
tuttora che avere forti contraccolpi nell’elettorato (non solo) tedesco
all’insegna di un istintivo: perché io sì e gli altri no?
Se non
si vuole che sia l’ennesima occasione perduta, occorre perciò che da
Bratislava vengano due chiari segnali di svolta. Il primo diretto ai
paesi renitenti sul fronte migrazione con la ferma indicazione di
sanzioni severe a tutti coloro che intendono sottrarsi agli obblighi di
comune solidarietà. Sarà noioso ripeterlo, ma soprattutto ai paesi
dell’Est si deve far capire che il rapporto con Bruxelles non può essere
a senso unico. Insomma: chi non dà non prende, altrimenti l’Unione
muore. Il secondo, indispensabile, segnale riguarda i popoli europei nel
loro insieme. È urgente finirla di lisciare il pelo alle opinioni
pubbliche con rassicurazioni di comodo. Il fenomeno migratorio ha
dimensioni e durata epocali che richiedono un’opera di lunga lena e
tanto sudore. Anche per evitare le lacrime e il sangue che seguirebbero
in un’Europa di nuovo rinchiusa in tante fortezze nazionali.