martedì 13 settembre 2016

Repubblica 30.9.16
I migranti di Bratislava
di Massimo Riva

FITTA l’agenda del vertice Ue che si apre venerdì a Bratislava. Fra i nodi da sciogliere è lecito aspettarsi parole chiare almeno in tema di dopo Brexit e di migranti, mentre è pacifico che il confronto tra i copernicani degli investimenti e i tolemaici dell’austerità continuerà ancora per un pezzo. Quanto ai negoziati con Londra non c’è gran che da dire al momento sul merito, molto invece sul metodo. Si tratta, in particolare, di bloccare l’insinuante tentativo del governo inglese di risolvere i problemi attraverso intese bilaterali con i singoli Stati. Occorre quindi un saldo e leale impegno comune a far sì che siano le istituzioni comunitarie a gestire le conseguenze dell’addio britannico. Altrimenti si consentirebbe a Londra di poter continuare anche da fuori quell’opera di disgregazione dell’Unione che ha perseguito per anni dall’interno.
Questioni di metodo e di sostanza vanno, invece, affrontate insieme in tema di migranti. E Bratislava sembra proprio il luogo giusto dato che si tratta della capitale della Slovacchia, paese che con Polonia, Cechia e Ungheria costituisce il “Quartetto di Visegrad”, alfiere dell’opposizione più radicale alla redistribuzione dei profughi fra tutti i paesi dell’Unione. Sia Bruxelles sia importanti capitali hanno tollerato finora senza colpo ferire questa cinica ribellione ad ogni elementare regola di mutualità comunitaria. Si è così assistito all’impunito orrore del ritorno in Europa ai muri e ai reticolati di filo spinato, mentre in Ungheria si terrà a breve un referendum col deliberato fine di ottenere l’avallo popolare alla chiusura ermetica dei confini.
Sul fronte del no ai migranti si è appena salutato con soddisfazione lo schiaffo subìto da Angela Merkel nel suo collegio elettorale proprio a causa della sua politica di accoglienza verso i profughi. Le speranze di una svolta in materia al vertice di Bratislava appaiono perciò appese soprattutto alla sagacia della cancelliera nel cogliere le vere ragioni della sua sconfitta nelle urne. Che essa dica di voler continuare sulla strada delle porte aperte è segno di coerenza politica, ma non basta. Il passaggio cruciale sta nel capire che la linea dell’imbelle condiscendenza dell’Unione verso chi negli altri paesi sbarrava porte e finestre non poteva e non può tuttora che avere forti contraccolpi nell’elettorato (non solo) tedesco all’insegna di un istintivo: perché io sì e gli altri no?
Se non si vuole che sia l’ennesima occasione perduta, occorre perciò che da Bratislava vengano due chiari segnali di svolta. Il primo diretto ai paesi renitenti sul fronte migrazione con la ferma indicazione di sanzioni severe a tutti coloro che intendono sottrarsi agli obblighi di comune solidarietà. Sarà noioso ripeterlo, ma soprattutto ai paesi dell’Est si deve far capire che il rapporto con Bruxelles non può essere a senso unico. Insomma: chi non dà non prende, altrimenti l’Unione muore. Il secondo, indispensabile, segnale riguarda i popoli europei nel loro insieme. È urgente finirla di lisciare il pelo alle opinioni pubbliche con rassicurazioni di comodo. Il fenomeno migratorio ha dimensioni e durata epocali che richiedono un’opera di lunga lena e tanto sudore. Anche per evitare le lacrime e il sangue che seguirebbero in un’Europa di nuovo rinchiusa in tante fortezze nazionali.