domenica 25 settembre 2016

Repubblica Cult 25.9.16
Simone Weil
Fenomenologia del lato oscuro della forza
di Franco Marcoaldi

«Il vero eroe, il vero argomento, il centro dell’Iliade è la forza». Così comincia il famoso scritto di Simone Weil sul poema omerico, che ricompare ora in un trittico di suoi saggi ( Il libro del potere) introdotto da Mauro Bonazzi e pubblicato da Chiarelettere — ottima occasione per tornare a riflettere sul pensiero radicale, estremo, della filosofa francese.
Siamo nel pieno del secondo conflitto mondiale e Weil guarda ad Omero, forzando la lettura di quella mirabile opera in un’unica direzione — ovvero quale massimo dispiegamento della forza, «che trasforma in cosa chiunque le sia sottomesso», dunque vincitori e vinti, «perché nessuno la possiede davvero». Quando la guerra si impone, non c’è posto per la riflessione, le parole diventano vuote entità “omicide” e trascinano l’umanità in una furia cieca, priva di scopo. «Solo se si conosce l’imperio della forza e si è capaci di non rispettarlo è possibile amare».
Molti decenni dopo un’altra donna, Anna Maria Ortese, riprenderà concetti analoghi rivolgendo una semplice domanda: «Credete davvero che la vita umana sia sempre e soltanto trionfo sull’altro? Che per essere contenti della propria vita bisogna aver posato il piede sul capo dell’altro?».
Immediata l’obiezione: inutile fare le anime belle, è questa la natura costitutiva del potere. La Weil, però, rifugge da tale diktat: «C’è un problema da risolvere e non una fatalità da subire», afferma. L’esercizio smodato della forza sfugge immancabilmente di mano a chi crede di governarla. Perciò bisogna distinguere tra parole vere e false, commisurandole alle nostre azioni: «Per ridurre i rischi di guerra senza rinunciare alla lotta, che Eraclito reputava condizione stessa della vita».
Il massimo della ragionevolezza e il massimo dell’azzardo. È un caso che tali pensieri vengano da una donna? Anzi da due, includendo, con modalità sue proprie, anche la Ortese?