giovedì 8 settembre 2016

Repubblica 8.9.16
Fuori concorso al Festival di Venezia
Se Auschwitz si trasforma in meta turistica
di E. Mo.

VENEZIA. Uno dei film più sorprendenti della Mostra è il documentario Austerlitz di Sergei Loznitsa, regista ucraino che, dopo un paio di lungometraggi di finzione ben accolti a Cannes, sembra tornato stabilmente al documentario. Il titolo è un omaggio al romanzo omonimo di W. G. Sebald, che trattava di sbieco il tema di campi di sterminio (e delle loro immagini). Il dispositivo del film è semplicissimo: riprese fisse, spesso lunghe diversi minuti, in bianco e nero, senza commento e senza musiche, che mostrano Auschwitz oggi, trasformata in meta turistica. Del luogo si vede poco o nulla, mentre abbiamo tutto l’agio di osservare le persone, spesso giovani, che vanno in giro a frotte, camminano, si fermano un attimo, ascoltano le spiegazioni delle guide (in varie lingue) o le ascoltano in cuffia, rispondono al telefonino, si abbracciano, si mettono a correre, e soprattutto fotografano e si fotografano. Il regista non giudica, ma fa emergere quietamente la riduzione della visita al campo a esperienza fugace e innocua. E quando appare una ragazza che, da sola, in silenzio, guarda fuori campo a lungo, forse toccata davvero, l’emozione è fortissima. Il film si apre e si chiude su due lunghe inquadrature ai cancelli del campo, con la gente che all’inizio entra e alla fine esce, mentre alle loro spalle si intravede la lugubre scritta “Arbeit Macht Frei”. Sembra la versione sinistra e simbolica del primo film della storia del cinema, L’uscita dalle officine Lumière.
AUSTERLITZ Regia di Sergei Loznitsa Documentario Germania