Repubblica 7.9.16
La sfida di Merkel dopo il Meclemburgo
di Angelo Bolaffi
LA
REGIONE del Meclemburgo-Pomerania è da sempre famosa in Germania per la
sua selvaggia bellezza, una sorta di Provenza tedesca che anziché sulle
solari acque del Mediterraneo si affaccia su quelle nordiche del Mar
Baltico. Da domenica scorsa, dopo l’esito elettorale delle elezioni
regionali in cui il partito della Alternative für Deutschland (AfD) ha
superato la Cdu di Angela Merkel, questo Land praticamente disabitato
posto al confine Nord-orientale del Paese verrà ricordato non più solo
per la sua incontaminata natura, ma anche come quello in cui la vicenda
politica della Cancelliera potrebbe aver conosciuto una drammatica
svolta.
E questo non solo per l’evidente
significato simbolico della sconfitta subita da Merkel nella sua regione
di provenienza e da sempre il suo collegio elettorale. Ma soprattutto
perché gli elettori scegliendo il partito di Frauke Petry, schierato su
posizioni xenofobe e antieuropeiste, hanno inteso manifestare la loro
polemica e intransigente opposizione nei confronti della politica
“cosmopolitica” di accoglienza dei profughi alla quale Angela Merkel ha
deciso di legare il suo destino e il futuro della sua leadership in
Germania e in Europa. Non solo: questa ennesima conferma elettorale,
ormai sono nove i Länder in cui la AfD è rappresentata, sembra
confermare la tesi di quanti, politologi e analisti, ritengono che
questo partito-movimento sia un fenomeno destinato almeno sul medio
periodo a durare. E che, invece, abbia fatto fallimento la strategia
sino ad ora seguita dai partiti “ufficiali” che hanno ritenuto fosse
sufficiente per esorcizzare il populismo alla tedesca affidarsi alla
moralistica stigmatizzazione nei suoi confronti anziché confrontarsi
apertamente con le paure vere e i pregiudizi immaginari che la AfD
riesce a strumentalizzare a proprio vantaggio.
Proprio
quello del Meclemburgo-Pomerania è in questo senso un caso esemplare
giacché in questa regione praticamente vivono solo tedeschi ( poco più
di un milione e mezzo) e in essa di immigrazione o di profughi non c’è
praticamente traccia. Insomma è un classico caso di “antisemitismo senza
ebrei”. Eppure il timore della “stranierizzazione” della società e
della cultura e la paura di una possibile islamizzazione ai danni della
tradizione cristiana sono riusciti a fare breccia nelle coscienze tanto
da spingere al voto settori tradizionalmente assenteisti o a strappare
ai partiti ufficiali la parte culturalmente più fragile e socialmente
più debole.
Andrebbe anche ricordato che
nelle precedenti elezioni regionali, sempre in questo Land, nel 2006 e
nel 2011 il partito neonazista della Npd ha superato agevolmente la
quota di sbarramento mentre questa volta è scomparso, a conferma che la
AfD, un partito nato poco più di tre anni fa nelle regioni dell’Ovest
per esprimere posizioni conservatrici in tema di economia (contro
l’euro) e di società, nei Länder dell’Est, quelli della ex Ddr, ha
conosciuto una profonda metamorfosi radicalizzandosi in senso estremista
spostando progressivamente il centro tematico sulla agitazione
anti-immigrati e sui temi della difesa in senso autarchico dell’identità
culturale. Né si può dimenticare che la clamorosa affermazione della
AfD nelle regioni della ex Germania orientale ha segnato il progressivo
declino del partito della Linke, di quella formazione che
ideologicamente orientata in senso dogmaticamente comunista, dopo la
caduta del Muro ha assunto nei fatti il ruolo di una sorta di “lega
rossa” mirante alla difesa degli interessi corporativi della vecchia
nomenclatura sia pure ammantandola nella retorica della Ostalgie e del
rimpianto per il “socialismo perduto”. E Merkel? Davvero colei che fino a
pochi mesi or sono veniva indicata come la sola leader capace di tenere
assieme l’Europa evitando che le forze centrifughe prendessero il
sopravvento, giudicata elettoralmente e politicamente imbattibile,
osannata per la sua lungimiranza e generosità quando un anno or sono
aveva aperto le frontiere della Germania a un milione di profughi
provenienti dal confine ungherese e austriaco, si ritrova
improvvisamente nella triste solitudine di chi è ormai avviato sul viale
del tramonto? Non più carta vincente per il suo partito ma invece
fattore di debolezza di cui conviene sbarazzarsi al più presto? Non c’è
dubbio che alcuni esponenti della Cdu e moltissimi della Csu la pensino
così e puntino a una drastica revisione della politica della accoglienza
fedeli al principio giudicato sacro dal leader bavarese Franz Josef
Strauss cioè che è lecito fare tutto, anche l’illecito, pur di impedire
la formazione di una forza politica concorrente alla propria destra.
Merkel
è dunque destinata a conoscere lo stesso destino dell’ex Cancelliere
Gerhard Schröder che perse le elezioni del 2005 perché abbandonato dal
suo partito, la Spd, per aver voluto e realizzato le riforme sociali ed
economiche che hanno fatto della Germania, allora il “malato d’Europa”,
la potenza leader del Vecchio Continente? Le prossime settimane, a
cominciare dalle elezioni di Berlino a metà settembre, daranno la
risposta. Ma di una cosa dobbiamo avere memoria e cioè che tutte le
grandi svolte del Secondo dopoguerra tedesco, dalla scelta occidentale
di Adenauer alla Ostpolitik di Willy Brandt, dalla decisione di Helmut
Schmidt di rispondere a brutto muso alla provocazione sovietica della
istallazione dei missili SS-20, fino alla scelta della riunificazione
compiuta da Kohl, sempre hanno dovuto fare i conti con una dura
opposizione nei rispettivi partiti e nel Paese. E Merkel è convinta che
l’integrazione dei profughi sia una sfida di portata storica pari a
quelle affrontate dai suoi predecessori.