martedì 6 settembre 2016

Repubblica 6.9.16
La febbre da rivincita di rottamati e reduci rossi “Presto liberi dal ducetto”
di Tommaso Ciriaco

ROMA. La camicia con micro fantasie floreali di Carlo Freccero è zuppa. Sembra in estasi, mentre osserva Massimo D’Alema in cima a una piramide di braccia e microfoni: «Bravo, bravooo! Scandisce le parole come faceva Chirac, significa che è in formissima. Gliel’ha giurata, a Renzi. Il referendum sarà il congresso. E lui non si fermerà prima di aver liberato il Pd». Questo, in fondo, pretende la platea: lo scalpo di Matteo. E l’ex premier è pronto a offrirglielo. Nelle ultime ore, riunendo i suoi in Fondazione, ha pianificato le mosse. Toccherà alla vecchia guardia convertire sul territorio spezzoni del Pd. Per abbattere Renzi, ma anche per riconquistare il monopolio della sinistra dem. «Siamo tornati - esulta Pasqualino Laurito, a nome della Velina Rossa - contro il Duce fiorentino!».
C’è dalemismo purissimo, in questo cinema che affaccia su Campo de’ fiori. Trecento militanti, quaranta gradi percepiti. Voglia di rivincita, come fosse un risarcimento della storia dopo la stagione della rottamazione. «Gliene hanno fatte tante, a Massimo - ragiona l’eurodeputato Massimo Paolucci - ma lui è un leader importante. Se solo la smette di girare per l’Europa e torna a lavorare con noi...». Sudano tutti, tranne il capo. Sa cosa piace alla platea, conquistare ovazioni è un rigore a porta vuota: «Dopo il referendum tornerò ai miei impegni. Io mi occupo del rinnovamento del pensiero della sinistra del terzo millennio, non sono cose piccole...».
Si divertono tutti, soprattutto i big della vecchia guardia ormai in pensione. «Sembra la macchina del tempo», sibila un giovane mentre squadra in prima fila Pietro Folena. Direbbe lo stesso di Cesare Salvi, così attivo da trattare con Vincenzo Vita le strategie per il No, «e se vuoi dopo parlo io con Massimo». Si spellano le mani anche Roberto Zaccaria, l’ex ministro del Pdci Alessandro Bianchi ed ex parlamentari come Giorgio Merlo e Mario Barbi. Il più felice di tutti sembra però Michele Ventura. Perdendo nel 2009 le primarie fiorentine aprì il varco all’ascesa di Renzi: «Oh, ormai se parli male di lui scatta il boato».
Platea di reduci, ma anche raduno di militanti appassionati. Qua si reclutano combattenti anti riforma. «Dobbiamo arrangiarci - dispone D’Alema - abbiamo pochi soldi e nessuna slide». Miracolo della nuova battaglia, il leader cita pure l’antico avversario Nanni Moretti per motivare le truppe: «Da domani non perdiamoci di vista». Comitati per il No, allora. E poi? I dalemiani hanno bruciato sul tempo le altre minoranze. «E infatti questa iniziativa - ammette la senatrice Lucrezia Ricchiuti - avrebbero dovuto organizzarla Bersani, Cuperlo e Speranza!». Sul territorio molto si muove. In Campania la corte ad Antonio Bassolino è spietata. In Puglia ex come Enzo Lavarra ed Ernesto Abaterusso si sono riattivati. Il resto lo fanno i dieci parlamentari dem della lettera per il No. Uno è Paolo Corsini: «Se Berlusconi avesse avuto l’atteggiamento di Renzi, avremmo riempito le piazze». Ma non basta. Ad applaudire D’Alema – «un leone», copyright del vendoliano Sergio Melilla – spunta anche Sinistra Italiana, guidata da Arturo Scotto: «Nel Pd hanno provato il vino nuovo, ma è già diventato aceto e c’è voglia di quello invecchiato. Massimo resta l’ultimo vecchio capo».
Fino a sera non sventola neanche una bandiera del Pd, né un logo per il No. Nulla, solo D’Alema. «Ma non accetto il giochino dello scontro tra me e Renzi», precisa. È l’ora dei saluti. Abbandona due origami sul tavolo e si consegna alle riprese delle telecamere con il sorriso. «Mi metto dove dite voi, di più che devo fa’?».