Repubblica 5.9.16
Il principe che faceva ombra al Re Sole
Una grande mostra a Chantilly dedicata al Grand Condé l’uomo che Luigi XIV perdonò solo per poterlo umiliare
di Natalia Aspesi
Alla
incessante ricerca del nuovo, si può riscoprire l’antico: la pompa di
un tempo, i principi imparruccati, i combattenti vittoriosi a cavallo,
le dame dall’aria tonta ricoperte di perle, gli intrighi di corte,
ritornando ai “Tre moschettieri” di Alexandre Dumas o alla “Principessa
di Clèves” di Madame de La Fayette. C’è anche una mostra inaspettata e
fiabesca (4 settembre 2016 — 2 gennaio 2017) nel castello di Chantilly,
40 minuti da Parigi, dedicata a Luigi II di Borbone, duca di Enghien e
dalla morte del padre nel 1546 principe di Condé, detto il Grand Condé,
primo
cugino di re Luigi XIV e primo principe del sangue. Un
personaggio leggendario per i francesi, ai tempi delle guerre continue,
del fasto come politica, della cultura barocca. Il catalogo, colto e
fantasmagorico, potrebbe entusiasmare con le sue storie e illustrazioni,
anche chi conosce quell’epoca solo attraverso, i romanzi del resto
irresistibili, delle avventure di Angelica la Marchesa degli Angeli,
pubblicati a metà degli anni Cinquanta e continuamente ristampati,
diventati poi cinque film, protagonista Michèle Mercier (li stanno
ridando in televisione). Si potrebbe pensare, incantati dalla mostra,
che il Grand Condé, nato nel 1621 e morto nel 1686, abbia passato la sua
vita, sin da piccino, a farsi ritrarre nell’ostentazione più
fantasiosa, in tunica e coturni, o con lucide armature tutte
infiocchettate, o dentro broccati, pizzi, perle, ori, preziosi, colori
squillanti, ermellino e visone, lussi superati in opulenza solo
dall’impegno a stupire del Re Sole.
Opulenza da ritratto o per
chissà quale impegno di etichette, privilegi, cerimonie a corte, che la
mostra racconta attraverso una serie di incisioni incorniciate di putti e
veneri pettute: e che si ritrovano in forma di abbagliante dizionario
in L’etichetta alla corte di Versailles di Daria Galateria. Perché poi,
nella lunga serie di scene di battaglie, come quella di Rocroi contro
gli spagnoli, vinte dal Grand Condé stratega militare geniale, i nobili a
cavallo in primo piano, sono abbigliati con semplicità, e solo lui, il
principe alla testa delle truppe reali, porta un cappello piumato di
bianco per essere, nei dipinti, immediatamente riconoscibile.
Il
principe era bruttino, e i ritratti non rinunciano al nasone gobbuto e
al mento sfuggente e si impegnano però a magnificare l’enorme parrucca a
riccioli neri, del resto sul capo di tutti i gentiluomini anche in
guerra, o nel caso del re, pure sulla seggetta (la poltrona gabinetto),
per le necessità corporali cui potevano assistere solo i massimi
privilegiati: e il più agognato favore era quello di essere il prescelto
per occuparsi di eliminare le feci reali. Il tuttora magnifico La Prise
du pouvoir par Louis XIV di Roberto Rossellini (1966), telefilm di
produzione francese, illustra questa strategia umiliante e vincente per
domare l’aristocrazia; anche il Gran Condé partecipò alla Fronda
soprattutto contro Mazzarino, fu imprigionato, passò al servizio del
nemico spagnolo, poi fu perdonato e gli furono restituite le immense
ricchezze.
Colpito dalla gotta (e un dipinto molto cinematografico
di Jean-Léon Gérôme, 1878, mostra il povero vincitore di Seneffe (1674)
che per raggiungere il Re Sole, viene costretto a salire con fatica un
interminabile scalone. Rinunciando alle guerre il principe si chiude a
Chantilly, diventa un eccentrico mecenate, si occupa di fiori rari, fa
allestire opere di Molière proibite, rivaleggia col re organizzando
feste sontuose che duravano giorni, con cacce, pesca, danze, teatro,
fuochi d’artificio, spettacoli d’acqua, e soprattutto cene
ineguagliabili. Per la prima volta è resa pubblica una lettera
(ritrovata nell’archivio di stato di Modena) di Carlo Vigarani,
“intendant des plaisirs du roi”, alla duchessa di Modena, datata primo
maggio 1671, in cui racconta come «nella casa di delizie del Signor
Principe di Condé », alla festa per il Re e la corte, i passatempi
furono «funestati dal importuno accidente occorsovi ne la persona del
Maggiordomo »; essendo accaduto qualche «scompiglio», cioè «la tardanza»
dell’arrivo del pesce, «disperato e chiusosi ne la camera egli da sé
medesimo con tre colpi di spada nel cuore se diede la morte».
Il
pover’uomo era il celebre Vatel (si dice inventore della panna montata),
che nel film di Roland Joffé ( Vatel, 2000) ha il corpaccione di
Depardieu. Mentre il celebre André Le Nôtre, maestro dei giardini e
soprattutto inventore di meccanismi per i più stupefacenti giochi
d’acqua a Chantilly e a Versailles, è il giovane protagonista (Matthias
Schoenaerts) di Le regole del caos, 2015, diretto da Alan Rickman che
interpreta pure un Re Sole stanco che si toglie il parruccone nero
davanti alla giardiniera Kate Winslet. Madame de Sevigné, in una delle
tante lettere in mostra scrive a un cugino per raccontargli della «più
bella, magnifica, trionfante pompa funebre» a Notre Dame, ed è una delle
tre cerimonie, con orazioni funebri stampate e diffuse come le immagini
dei funerali del principe di Condé, morto alle sette di sera dell’11
dicembre del 1686 a Fontainbleu; ma siccome il decesso tarda, il re,
contro ogni etichetta, se ne va. Il 23 dicembre il secondo funerale “del
corpo” nella necropoli dei Borboni-Condé a Vallery, portando in
processione il cuore principesco, che tre mesi dopo verrà sepolto a
Notre Dame con ineguagliabile splendore.
Il principe aveva sposato
per ragioni politiche una nipote tredicenne del cardinale di Richelieu
(e per le stesse ragioni il fratello Borbone-Conti una nipote del
Cardinale Mazzarino), poco istruita e scialba come si vede dai suoi
ritratti, che gli diede quattro figli, uno solo sopravvissuto ai primi
mesi di vita. Le cronache dicono che, innamorato di Mademoiselle de
Vigean, fece rinchiudere la moglie in un castello: però Queerblog
assicura che il principe era bisessuale, e infatti gli piacevano molto i
suoi soldati.
Oggi il domaine di Chantilly, con la serie di
giardini e fontane, con il castello dalle torri rotonde, circondato
dalle acque, ha la grazia infantile della dimora del principe che si
innamora di Cenerentola: ha avuto una vita travagliata, durante la
Rivoluzione francese divenne una prigione e fu poi parzialmente
distrutto. Henrico d’Orleans duca d’Aumal e, quinto figlio di re Luigi
Filippo, dal padrino, ennesimo Condé, ebbe in dono quel che restava del
castello di Chantilly: tornato in Francia nel 1871, dall’esilio dopo
l’abolizione della monarchia, si dedicò alla ricostruzione e
all’arricchimento della proprietà lasciandola poi con tutte le sue
ricchezze all’Institut de France.