lunedì 5 settembre 2016

Repubblica 5.9.16
Dopo la polemica sul burkini, il New York Times ha chiesto alle europee di religione islamica di raccontare le loro esperienze: hanno risposto in mille, tracciando un ritratto conflittuale del Vecchio continente
“Non siamo più le benvenute” vivere in Europa nelle parole delle donne musulmane
di Lillie Dremeaux



NELLA TEMPESTA che si è scatenata dopo le ordinanze anti-burkini in più di 30 località balneari francesi, la voce delle donne musulmane è rimasta del tutto inascoltata. Il
New York Times
ha sollecitato i loro commenti, e le risposte (più di mille tra Francia, Belgio e altri Paesi) sono andate ben al di là della questione specifica. A emergere è un ritratto della vita delle donne musulmane, con o senza velo, in quelle parti d’Europa dove il terrorismo sta inasprendo le relazioni sociali. La parola più ricorrente è
combat,
lotta, la lotta per vivere la quotidianità. Ecco alcuni estratti dei commenti che abbiamo ricevuto.
«Quando è venuto fuori il burkini, io ero contenta per mia sorella, che andava in vacanza e finalmente poteva giocare con i figli sulla spiaggia. All’inizio della polemica ho pensato: ‘Non ti stare a preoccupare, Dina, sono solo due o tre persone con i paraocchi che non hanno niente di meglio da fare che seminare odio’. Ma poi: tutto questo, davvero? E io che pensavo che fossero proprio queste le cose contro cui si batteva l’Europa…».
Dina Srouji, 23 anni, Lebbeke, Belgio. Studentessa e apprendista giornalista all’Università di Gand.
«MI insultano, mi sputano addosso (letteralmente) tutti i giorni sulla metro, sull’autobus, a scuola. Eppure io non ho mai insultato o picchiato nessuno. No, è solo perché sono musulmana. Sto pensando seriamente di andare a vivere da qualche altra parte, in un posto dove gli sguardi degli altri non mi facciano piangere la sera, quando mi metto a letto».
Charlotte Monnier, 23 anni, Tolosa, Francia. Studentessa di architettura.
«OGNI volta che vado in Marocco, mi sento più libera che in Occidente, e vedo più libertà».
Souad el Bouchihati, 26 anni, Gouda, Paesi Bassi. Assistente sociale.
«ANCHE se facciamo ogni sforzo per cercare di ‘integrarci’, ci ricordano costantemente che per integrarci veramente dobbiamo rinunciare ai nostri principi e alla nostra religione. Non abbiamo più il coraggio di accettare inviti di ‘amici’, perché siamo stufe di dover rifiutare quando ci offrono da bere e di doverci giustificare. Al lavoro, dopo un attentato, ci sono battutine del genere ‘Hai aiutato i tuoi cugini?’. E allora che succede? Succede che ci isoliamo. E se cominci a isolarti, non ti integri più».
Mira Hassine, 27 anni, Orléans, Francia. Responsabile amministrativa. È musulmana praticante ma non porta il velo.
«ESSERE musulmana in Francia significa vivere in un sistema di apartheid di cui il divieto del burkini è solo l’ultima incarnazione».
Karima Mondon, 37 anni. Insegnante
di francese. Ha lasciato Lione per trasferirsi in Marocco.
«SONO una donna francese e musulmana. Vivo a Londra. In Francia non avrei mai potuto realizzare quello che ho realizzato a Londra, portando il velo. Lavoro nell’amministrazione locale, sono vicerappresentante del mio quartiere e porto il velo. Se fossi rimasta in Francia non sarebbe mai potuto accadere».
Saima Ashraf, 39 anni, Londra.
«IL mio cuore è francese al cento per cento, ma ho la sensazione di dover provare la mia ‘francesità’».
Siam Ferhat- Basset, 29 anni, Drancy, Francia. Ex receptionist.
«DURANTE gli studi ero una che lavorava sodo, ma man mano che andavo avanti nella mia scolarizzazione, ho perso ogni motivazione. Sapevo che come donna musulmana con il velo non avevo nessun futuro nel mondo professionale. Ci chiedono di integrarci, manon ci vogliono integrare».
Saadia Akessour, 31 anni, Liegi, Belgio. Mamma casalinga.
«VI ringrazio moltissimo di prendere in considerazione le nostre opinioni. In Belgio, come in Francia del resto, nessuno chiede mai il nostro parere, anche se siamo noi le persone più interessate da queste ricorrenti polemiche sull’islam e le donne. Siamo viste come delle bigotte decerebrate che si sottomettono al marito o al padre. Personalmente sono musulmana, insegnante, tollerante, femminista e porto il velo ».
Khadija Manouach, 29 anni, Bruxelles. Insegnante .
«COME giovane donna musulmana non mi sento più al sicuro. Mi trasferirò nel Regno Unito, dove posso vivere e lavorare normalmente».
Sarah Nahal, 24 anni, Grenoble, Francia. Studentessa di economia e commercio.
( Copyright The New York Times News Service . Traduzione di Fabio Galimberti)