Repubblica 29.9.16
Quale alternativa all’Italicum
In Parlamento oggi ci sono tre blocchi incompatibili Che avverrebbe col sistema proporzionale?
di Guido Crainz
LA
PROPOSTA di ritornare al sistema proporzionale avanzata dal Movimento 5
Stelle, accompagnata dal fiorire di molte altre, ha riacceso una
discussione che non sembra puntare tanto ad una nuova legge elettorale
(il centrodestra si è detto indisponibile sino al referendum) quanto a
rafforzare l’opposizione alla riforma costituzionale. Ovviamente però il
nodo è centrale, e la proposta di Grillo è di una paradossale
chiarezza: una forza politica che rifiuta con sdegno le alleanze propone
un sistema elettorale che le imporrebbe. La purezza impraticabile e la
ingovernabilità reale. Anche questo paradosso costringe a ragionare
senza infingimenti sul nodo quasi irrisolvibile che abbiamo di fronte,
in presenza di tre blocchi politici incompatibili fra loro. E in un
quadro in cui non è facile immaginare alleanze del centrosinistra con
forze moderate e di centro: quali sono, oggi?
Scomparsi i partiti
storici minori, dotati di una propria cultura e di una propria
fisionomia (liberali, repubblicani, socialdemocratici), quel vuoto è
stato riempito perlopiù da formazioni effimere, unificate dal
trasformismo e da operazioni di potere. E il “diritto di tribuna”, cioè
il diritto alla rappresentanza dei piccoli partiti, si è trasformato
troppo spesso in potere di ricatto. Chi ricorda più la formazione che
unì fuggevolmente nel 1998 Francesco Cossiga, Clemente Mastella e Rocco
Buttiglione? Eppure fu decisiva per far nascere il governo guidato da
D’Alema dopo la caduta di Prodi e per affossare di fatto il progetto
dell’Ulivo. Forse si ricorderà meglio la congerie di piccoli partiti che
confluì poi nell’Unione guidata da Prodi nelle elezioni del 2006: è
discutibile che ne abbia favorito la risicata vittoria, certamente ne ha
decretato una vita stentata e una fine ingloriosa. Oggi inoltre, di
fronte ai tre blocchi che si sono delineati, il problema è ancor più
radicale. È giusto indignarsi per il confluire dei voti di Denis Verdini
nella maggioranza, o per il suo recente protagonismo anche in questo
campo: a patto di non sostenere o avallare un sistema elettorale che
costringa poi ad alleanze di governo ben più larghe e nefaste. Non
sembra rispondere al nodo di fondo neppure il cosiddetto “Mattarellum
2.0”, un sistema uninominale di collegio senza ballotaggio e con
differenti “premi” (al primo partito, al secondo e a quelli minori). In
questo caso basterebbe poco più (o poco meno) del 30% per vincere nei
collegi, e senza neppure la certezza della governabilità.
Nell’esperienza che ne abbiamo fatto, inoltre, si è visto ben poco quel
“rapporto diretto con l’elettore” che dovrebbe essere il pregio
dell’uninominale: si è visto, di nuovo, il potere di ricatto di piccoli
raggruppamenti che condizionavano il loro ingresso nella coalizione ad
un congruo numero di collegi “sicuri”.
Si sono viste estenuanti
trattative fra le segreterie dei partiti, che paracadutavano molti
candidati in collegi cui erano totalmente estranei. Certo, nel degradare
della politica cui abbiamo assistito ogni intenzione rischia di essere
deformata dalla realtà in cui si cala. E non sono pochi i difetti
dell’Italicum, frutto anche delle mediazioni che sono state necessarie
in questo Parlamento (incapace all’avvio sin di nominare il Presidente
della Repubblica). Fra essi vi sono sicuramente i capilista bloccati e
la possibilità di esserlo in dieci collegi ma forse anche l’abbassamento
al 3% della soglia di accesso: voluto dai piccoli partiti e destinato
però a frantumare e a rendere ancor più deboli le opposizioni. Ma fra i
difetti vi è anche il pericolo di esiti antidemocratici? Davvero con il
“combinato disposto” di Italicum e di riforma costituzionale si crea un
“premier assoluto” che «anche col 25% dei voti può nominarsi il capo
dello Stato, un bel po’ di giudici costituzionali” e così via» (traggo
la citazione dal libro più diffuso a favore del no)? Come è ovvio con il
25% si va al massimo al ballottaggio e lì è necessario superare il 50%,
come avviene dal 1993 nelle elezioni dei sindaci. Certo, in quelle
elezioni si presentano le coalizioni — e il nodo va seriamente
considerato, pur con i dubbi che ho ricordato — ma l’ingannevole
demagogia di quella affermazione resta. E restano i fatti: per
l’elezione del Presidente della Repubblica saranno necessari i tre
quinti dei votanti, fuori dalla portata di chi ha vinto le elezioni
(oggi dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta,
naturalmente alla portata di chi governa).
È sicuramente un bene
che si ponga mano ai difetti dell’Italicum, per quel che è possibile in
questo Parlamento, senza rimuovere però la realtà di tre blocchi
politici incompatibili fra loro. Una realtà che mette a dura prova le
convinzioni di chi, come me, è sempre stato “proporzionalista” (e nel
1993 ha votato contro il maggioritario, in piccola compagnia): è ancora
possibile, oggi?