La Stampa 29.9.16
Matteo Renzi
La tentazione dello strappo con l’Europa
di Marco Zatterin
Matteo
Renzi ha degli «amici» a Bruxelles pronti ad ascoltare le richieste di
flessibilità e rassegnati a sopportare i suoi strali. Nel circolo
europeo si nascondono però anche parecchi aspiranti «sicari», gente che
si chiede come mai Roma non sia già in procedura di deficit eccessivo e
attende la legge di bilancio col colpo in canna riservato a chi si
ritiene abbia già chiesto troppo. Dal confronto fra queste due forze
divergenti dipende una parte rilevante dell’azione di governo, anche se
tutto questo ruota intorno a magri «zerovirgola». E qualunque sia
l’esito, saranno bruscolini rispetto alle esigenze reali di stabilità
economica e politica necessarie per rimettere in moto davvero il Bel
Paese.
L’edificio numerico della nota di aggiornamento del Def è
costruito su un terreno friabile. Il non aver detto che l’obiettivo del
deficit 2017 è il 2,4% del Pil, bensì il 2% più lo 0,4 delle spese extra
per sisma e migranti, è una mossa scaltra per avanzare con le fatiche
di bilancio senza aver chiuso il negoziato con Bruxelles.
Entrambe
le quote sono tuttavia da conquistare, la seconda più della prima. Su
tutto pesa il debito mostruoso che verrà ridotto di un’anticchia nei
prossimi dodici mesi, oltre naturalmente alla crescita che è fiacca dal
secolo scorso. Il partito di chi è stufo o non si fida di Roma non
smette di gonfiarsi.
I segnali di avvertimento sono stati
numerosi. Eurogruppo e Commissione si sono pregiati di ripetere che la
flessibilità è «una tantum» e che la sua somministrazione, per noi, può
considerarsi conclusa, almeno per quanto riguarda la compensazione di
riforme e investimenti. Una settimana fa il presidente Juncker ha
ricordato che l’Italia ha beneficiato più di tutti della temperanza Ue,
con maggiori margini di spesa per 19 miliardi. Senza contare, ma questo
non lo ha detto, che in altre circostanze, e col debito che abbiamo, un
cartellino rosso sarebbe stato automatico. Invece le valutazioni sono
state scritte con la penna imbevuta di politica e senza volontà di
colpire il governo Renzi, per non indebolirlo e aprire la strada a un
non auspicato ribaltone. Lo stesso è successo per Spagna e Portogallo.
Per ora.
Il messaggio è stato recepito. Pier Carlo Padoan,
paziente negoziatore, ha annunciato che non avrebbe chiesto altra
flessibilità. Passo politicamente saggio, compiuto mentre Renzi
rimescolava a macchinetta le carte europee sperando che gli annunci
portassero alla sostanza. A Ventotene ha ingenerato l’idea (mai
confermata) di un direttorio a tre con Angela e François, a Maranello ha
suggerito un dialogo forte (in realtà immutato) con la cancelliera.
Visto che le cose non succedono solo a furia di ripeterle, a Bratislava
l’asse franco-tedesco, per quanto indebolito, si è riconfermato l’unico
con cui l’Europa sa far leva. Renzi, davanti al castello degli auspici
che crollava, non ha potuto che passare alla fase successiva, le
critiche e la sfida alle regole, lasciando a Padoan e ai suoi l’onere di
trattare il trattabile con un Moscovici che risulta benevolo quanto
provato.
Di qui a fine novembre la trattativa sarà serrata. Si può
scommettere che otterremo tutto o quasi, forse con qualche vincolo che
tranquillizzi nordici e falchi vari, anche i tedeschi che non vogliono
affossare Renzi, ma devono pensare al voto fra un anno. All’indomani del
referendum, la mattina del 5 dicembre, il premier dovrà valutare il suo
futuro politico e ragionare anche sul fatto che l’aspra battaglia con
Bruxelles avrà al massimo portato una decina scarsa di miliardi di
maggiori margini di spesa. Pochi per le esigenze nazionali. Ancora meno
per cambiare il gioco.
In caso di vittoria del «no», potrà anche
pensare che il problema non è più suo. In caso di affermazione del «sì»
potrebbe tentare lo strappo, dunque deviare anche di un punto e oltre,
per avere soldi veri con cui provare a battere la crisi una volta per
tutte. Finirebbe in procedura di deficit eccessivo (Edp), punizione
dalle magre conseguenze visti i tassi bassi e gli acquisti di bond della
Bce. Penserebbe che il consenso e la speranza di ripresa valgono bene
uno scontro con Bruxelles. Possibile? Le fonti europee, anche quelle che
tifano per l’Italia, assicurano che tutte le opzioni sono aperte e
anche quest’ultima non è da escludere. Renzi sarebbe contrario, dicono a
Roma. Ma da qui al 5 dicembre devono, e possono, succedere ancora molte
cose.