mercoledì 28 settembre 2016

Repubblica 28.9.16
La sfida rischiosa al partito del rigore
di Marco Ruffolo

UN’OPERAZIONE condotta sul filo del rasoio. L’aggiornamento del Documento di economia e finanza ha alzato il deficit e abbassato la crescita, scommettendo comunque sul raggiungimento di almeno l’1% di Pil in più nel 2017. Dopo lo strappo di Bratislava, che ha visto Renzi dissociarsi dalla linea tedesca su economia e immigrati, il governo ha ritenuto di alzare l’obiettivo-deficit e dunque di finanziare una parte della prossima manovra con nuovo indebitamento.
Renzi ha giustificato l’operazione con le emergenze che si sono abbattute sul Paese: terremoto e migranti. «I soldi che spenderemo in più non li voglio conteggiare nel Patto di stabilità », aveva detto. Detto fatto. La sfida a Bruxelles è stata lanciata. Ma questo significa che si apre ora una difficilissima trattativa con la Commissione europea e con i Paesi che più insistono sul rispetto del rigore, Germania in testa. La stessa insistenza con cui ieri fonti della Ue ricordavano che le cifre del Def sarebbero state “responsabilità” del governo italiano e non concordate con Bruxelles, deve aver provocato non poco imbarazzo nel ministro Padoan.
LA Ue indicava per l’Italia un deficit massimo del 2% del Pil nel 2017, che è già più di quanto avremmo dovuto fare (1,8%). Il governo italiano fa sua la nuova soglia indicata da Bruxelles impegnandosi però a negoziare con la Commissione europea un ulteriore aumento dell’indebitamento fino al 2,4% per tenere conto delle due emergenze. Dunque una sorta di soluzione “double face” che da una parte si adegua in prima istanza ai desiderata di Bruxelles ma che dall’altra non esclude la possibilità di finanziare gran parte della prossima manovra con un nuovo forte indebitamento: 9 miliardi e mezzo, che si aggiungono ai 6 e mezzo già riconosciuti dalla Ue. In tutto, dunque, l’intenzione del governo è quella di fare una manovra in deficit per circa 16 miliardi.
In questo modo Renzi potrebbe raggiungere i due obiettivi prioritari del governo: disinnescare la mina del maxi-aumento dell’Iva e allo stesso tempo mettere in campo quelle misure di rilancio dell’economia con le quali evitare che il Pil ristagni malinconicamente sotto l’un per cento. Una soglia che ogni anno si prevede di raggiungere e superare e che puntualmente si rivela inarrivabile. Con il solo aumento del deficit si potrà disinnescare l’aumento dell’Iva per 15 miliardi, mentre altri 7-8 (ma la cifra balla ancora) verrebbero destinati al rilancio dell’economia prendendo i soldi da una serie di nuovi risparmi: lotta all’evasione, rientro dei capitali bis, spending review terza edizione e altri interventi minori. Risparmi che dovrebbero andare a coprire il capitolo pensioni, gli incentivi all’industria, il rinnovo del contratto degli statali, la lotta alla povertà e altro ancora.
Il dubbio che emerge subito da questo doppio impegno del governo (probabilmente frutto di un compromesso interno) è che questo indebitamento in più potrebbe non essere del tutto giustificato dalle emergenze nazionali. E comunque non si capisce perché i soldi per terremoto e migranti dovrebbero andare a disinnescare l’aumento dell’Iva invece di essere spesi nei settori ad essi destinati. La Ue avrà molto da discutere su questo.
La partita tra Italia ed Europa è tra le più complesse. Ad aprire spiragli potrebbe intervenire la politica, la stessa politica che ha visto andare in pezzi il direttorio che si era appena formato tra Roma, Berlino e Parigi. Arrivare al referendum costituzionale senza mettere in campo solide misure per la crescita rappresenta per il governo italiano un enorme rischio di instabilità. E questo Bruxelles lo sa bene. Come lo sanno bene Merkel e Hollande, alle prese a loro volta con delicatissimi appuntamenti elettorali. Di fronte al rischio di una destabilizzazione dei Paesi fondatori dell’Europa, è possibile che l’Ue abbassi le sue pretese di rigore finanziario.
Certo è che l’Italia non potrà tutti gli anni arrampicarsi sugli specchi delle emergenze per strappare qualche decimale in più all’Europa. Forse farebbe meglio a dichiarare che per un certo numero di anni, fino a quando non avremo una crescita degna di questo nome, il nostro deficit si posizionerà appena sotto la soglia del 3%. E qui il discorso si sposta sull’efficacia delle misure della legge di bilancio 2017, e ci si interroga se non sia il caso di spostare l’asse degli interventi dalla logica dei bonus e degli incentivi (che non hanno prodotto grandi risultati) a quella degli investimenti pubblici, a cominciare dalla ordinaria amministrazione e non da opere faraoniche che impressionano ma che non si faranno mai.